Fino a un anno fa non conoscevo la “Christian music”. Non andavo oltre le canzoni strimpellate in chiesa: suono piuttosto male, ma per mia fortuna il pubblico è o molto paziente o mezzo sordo (l’età media è altina). Oppure entrambe.
Se adesso sono qui a scriverne, la colpa è anche di Felix, un insegnante di Imola che cura la pagina Facebook “Rock cristiano in Italia”, recensendo e segnalando autori di canzoni a tema religioso, anche se non a uso liturgico. C’è di tutto: rap, rock, bans, canzoncine per bambini, persino heavy metal. Su Gesù, Maria, Padre Pio, la conversione, l’amore di Dio.
“Le radio snobbano la musica cristiana”, ha denunciato il quotidiano Libero in un articolo del 16 dicembre di Francesca D’Angelo, rilevando la discrepanza tra «le migliaia di fan» di questo genere e il pressoché nullo interesse dei media: «Possibile infatti che in tutti questi anni nessun cantante cristiano sia mai stato ospitato al festival di Sanremo, in un talent show qualunque o in radio?».
Verrebbe intanto da dire che non è proprio così: basti pensare al successo mediatico di suor Cristina, passata da “The voice of Italy” a “Ballando con le stelle”. Abile – e qui faccio il mio personalissimo mea culpa – a non farsi trasformare in un fenomeno da baraccone: ammetto che quando ha cantato “Like a Virgin” di Madonna, con evidenti allusioni sessuali nel testo, il mio personalissimo tribunale morale aveva pronunciato una condanna. Ma questa è un’altra storia.
Tornando però all’articolo di Libero, occorre ammettere che la “Christian music”, qui in Italia, è ancora un fenomeno di nicchia. Le «migliaia di visualizzazioni» ci sono, certo, ma restano comunque poche. Giusto per fare un confronto con canzoni evidentemente non cristiane, limitandoci esclusivamente a Youtube: il demenziale “Carote” di Nuela, tormentone di X-Factor, ha 17 milioni di visualizzazioni, Ultimo ha quattro canzoni che superano quota 40 milioni. Davanti a questi numeri, le 5mila visualizzazioni dell’ultimo singolo dei Maddalen’s Brothers (che ammiro), dedicato al servo di Dio Giuseppe Fanin, sono davvero poca cosa. I Reale, band piemontese con più storia, arriva a 356mila visualizzazioni col brano scelto come inno ufficiale della Marcia Francescana del 2016, ma i loro video, generalmente, ne contano «solo» qualche decina di migliaia. Compresa la bellissima “Giorno 1”, recensito da Felix: anche in questo caso sono arrivato alla band cristiana per colpa sua. Si dirà: ci sono i “The Sun”, la band di Francesco Lorenzi, autore di due bestseller per Mondadori. Nessun video del canale ufficiale supera però il milione di views. Ci riesce Debora Vezzani con la suggestiva “Come un prodigio” – ispirata al salmo 139 – che però è di 6 anni fa.
Non si giudica la qualità dai numeri. Che pure, anche nel caso della Christian music, sono interessanti. Ma il confronto con i vari Brunori Sas, Coez o Baby K (“Da zero a cento” conta 170 milioni di visualizzazioni. Non ho scritto male: 170 milioni!), insomma con la musica che va in radio, resta abissale.
Non si vive di sola Christian music, almeno qui in Italia. La stragrande maggioranza delle band è composta da ragazzi che, di mestiere, fanno altro. Travasano nella musica il loro cammino di fede, il loro percorso di vita. E, proprio perché sono testimoni, vederli dal vivo ha tutto un altro sapore. È un invito per parrocchie, circoli, associazioni: invitateli, ne vale davvero la pena.
Che piaccia o meno, però, questo fenomeno non ha fatto presa in Italia – e nel mondo cattolico – così come invece si è sviluppato in ambienti protestanti ed evangelicali (l’inglese e lo spagnolo, poi, aiutano più dell’italiano a diffondere un messaggio). Un esempio? La splendida “You say” di Lauren Daigle, su un tema non semplice: non la fede verso Dio, ma la fede di Dio verso di noi: «Dici che sono amata quando non riesco a sentire nulla/ Dici che sono forte quando io penso di essere debole […] L’unica cosa che importa adesso è tutto ciò che pensi di me/ In Te io trovo il mio valore, in Te io trovo la mia identità».
Parole che fanno pensare, e 129 milioni di visualizzazioni. Chapeau.

Lorenzo Galliani
insegnante