Vassallo – Regionali: il voto ai candidati e il voto ai partiti

Una scrive sui manifesti: «Liberiamo l’Emilia-Romagna» (sottinteso «dal potere rosso che governa da 70 anni»). L’altro usa come slogan: «Un passo avanti» (per elogiare i risultati ottenuti nella legislatura in scadenza, ma anche per ricordare che «c’è ancora molto da fare»). A poche settimane dal voto del 26 gennaio per il rinnovo della giunta guidata dal centrosinistra, la campagna elettorale s’infiamma.

Se si esclude per un attimo il Movimento 5 stelle, che dopo la consultazione degli attivisti sulla piattaforma Rousseau ha scelto di correre con un proprio candidato, Simone Benini, i principali sfidanti restano due.

La Lega – assieme al resto del centrodestra – conta di poter arrivare a governare le torri di viale Aldo Moro con Lucia Borgonzoni, senatrice e già sottosegretario per i Beni e le attività culturali nel primo governo Conte. L’attuale presidente della Regione, Stefano Bonaccini, del Partito democratico, si è invece candidato con il sostegno di sei liste che vanno dai Verdi ai Radicali, passando dal movimento politico paneuropeo Volt.

Ne abbiamo parlato con Salvatore Vassallo, professore ordinario di Scienza politica all’università di Bologna.

 

Professore, come giudica il «linguaggio» di questa campagna elettorale?

«Le regionali del 2020 in Emilia-Romagna sono un test cruciale da molti punti di vista. Lo saranno anche per giudicare l’impatto del linguaggio e della comunicazione politica. Non credo di avere mai visto prima in Italia una campagna tanto asimmetrica. Da una parte una candidata che appare come un ologramma accanto al leader nazionale del suo partito, Matteo Salvini, in campo in primo piano e a tempo pieno battendo sempre sullo stesso tema. Con uno slogan che, attenzione, non hanno inventato né lui né Trump».

 

Si riferisce ai continui richiami del leader della Lega a mettere al primo posto gli italiani?

«Esattamente. Come mi ha ricordato qualche giorno fa il mio collega Asher Colombo, già nel 2007, rispondendo a un sondaggio da lui curato, il 51% degli emiliani-romagnoli diceva che, a parità di reddito e di bisogno, nell’assegnazione delle case popolari bisognava dare «la precedenza agli italiani». Dodici anni dopo sono molti di più e non pochi si identificano con chi lo dice senza filtri».

 

E dall’altra parte?

«Bonaccini gioca molto sulla rivendicazione di avere ben governato, in molti settori, presentandosi come un leader del territorio, senza padrini nazionali, capace di interloquire con diverse facce della società emiliana, dai tradizionali reticoli associativi del centrosinistra all’imprenditoria dei distretti. Il linguaggio di Salvini è spesso sgradevole, ma si accorda con una domanda semplice, per molti elettori fondamentale. Quello di Bonaccini e dei suoi alleati è più articolato, pragmatico, razionale».

 

A suo parere quale sarà il verdetto il 26 gennaio? Rispetto alla narrazione del presidente uscente Bonaccini in merito al successo della propria azione politico-amministrativa di questi 5 anni, quali criticità individua tali da poter favorire una scelta alternativa da parte dell’elettorato?

«Non credo che il successo o l’insuccesso di Bonaccini dipenderanno dal giudizio su questa o quella politica regionale, sui difetti o sui pregi di singole scelte. Vedo grosso modo due diversi tipi di elettori che possono fare una differenza, e su cui si giocherà fino all’ultimo momento la campagna elettorale. In una prima categoria metterei elettori che sono quasi sempre andati a votare, spesso per il centrosinistra, e che oggi sono in bilico tra dare più peso al bicchiere mezzo vuoto del loro disagio politicizzato da Salvini oppure a quello mezzo pieno dell’apprezzamento per l’amministrazione locale. In questo caso centrosinistra e centrodestra competono, come in un tiro alla fune, sullo stesso elettorato. Nella seconda categoria ci sono elettori spesso tentati dall’astensionismo, sebbene per ragioni molto diverse. Salvini può riportare alle urne una parte di quelli che non votavano perché politicamente apatici, che sentivano la politica come una cosa estranea, collocati anche territorialmente nelle aree periferiche della regione. Bonaccini potrebbe avvantaggiarsi del ritorno alle urne dei classici astensionisti «riflessivi» dei centri urbani, molti dei quali riattivati dal movimento delle sardine».

 

Secondo l’attuale sistema elettorale è consentito il voto disgiunto. Quali sono i possibili scenari in caso di un massiccio utilizzo di questa opzione il giorno del voto?

«In effetti le caratteristiche del sistema elettorale e la possibilità del voto disgiunto potrebbero avere in questo caso un ruolo decisivo. Diversi sondaggi segnalano che quando si contano le intenzioni di voto per i partiti, il centrodestra è in vantaggio, quando si considerano le intenzioni di voto per i candidati alla presidenza la Borgonzoni perde. Se questo si dovesse tradurre in segni conseguenti sulla scheda elettorale, con un massiccio voto disgiunto di elettori che barrano il simbolo «Salvini Premier» e al tempo stesso il cognome di Bonaccini, vincerebbe il centrosinistra. Nel sistema elettorale per le regionali disegnato da Tatarella, lievemente ritoccato in Emilia-Romagna nel 2014, il voto al candidato presidente è l’elemento determinante. La legge elettorale assegna ai partiti collegati con il candidato presidente che ha preso più voti almeno 27 dei 40 seggi di cui si compone il consiglio regionale. In pratica, il voto ai candidati può ribaltare l’equilibrio dei voti dati ai partiti».

Paolo Tomassone

Giornalista

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