Bisognerà ovviamente attendere le motivazioni della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha cassato il referendum abrogativo proposto dalla Lega. Sbaglia quindi chi pensa che siano un assist all’attuale maggioranza di governo.
Ma resta il fatto, però, che la sentenza chiude definitivamente un trentennale percorso di riforme elettorali finalizzate ad assicurare migliori livelli di governabilità del paese e a dare agli elettori maggiori opportunità di valutare con chiarezza la qualità dell’azione di governo. Ed è anche indubbio che la sentenza coglie un senso comune che si era già espresso nel dibattito attorno al referendum costituzionale del 2016.
Pare che larga parte della classe dirigente di questo paese, anche di quelli che 30 anni fa si ponevano il problema di una governabilità efficiente e accountable, si sia convinta che sistemi elettorali con effetti maggioritari siano il terreno di coltura di leadership con inclinazioni autoritarie. Da questo punto di vista fa male Salvini a prendersela con la Corte perché la sua retorica ha dato un contributo rilevante a tale convinzione.
Il problema che la nostra democrazia dovrà ora affrontare è come dare risposta alla domanda di governo che gli elettori hanno espresso in questi anni di oggettivo impoverimento degli italiani. Punendo entrambi le formazioni cardine della “Seconda Repubblica” e votando per formazioni guidate in buona sostanza da ignoti che si limitavano a dire che bastava cambiare tutto e tutti per risollevare il paese. Il voto nelle due ultime elezioni riflette una sfiducia radicale nei confronti della politica per come è stata, e insieme una ricerca di leader tanto più attraenti quanto più dicono di andare contro le regole della “vecchia” politica.
Il sistema proporzionale all’orizzonte non è palesemente una risposta adeguata. È invece la migliore premessa per continuare ad alimentare un bisogno di “uomo forte” che i sondaggi puntualmente registrano. I leader, che agli occhi di molti hanno in questi anni impersonificato questa figura, potrebbero essere una pallida anticipazione di quelli che potrebbero venire.

Paolo Segatti
Sociologo