Il nuovo Direttorio per la catechesi redatto dal Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione è stato approvato da papa Francesco il 23 marzo scorso, memoria liturgica e dies natalis di san Toribio de Mogrovejo, secondo vescovo di Lima morto nel 1606, patrono dell’episcopato latinoamericano. Quanto la figura di questo missionario spagnolo sia realmente significativa per il pontefice argentino lo ha rivelato lui stesso in occasione dell’incontro con i vescovi peruviani a Lima il 21 gennaio 2018, tappa conclusiva del suo viaggio in Cile e Perù.
Il quadro custodito in Vaticano che raffigura san Toribio come nuovo Mosè, che attraversa un grande fiume, le cui acque si separano come nel mar Rosso, è occasione per incentrare la riflessione interamente su «l’uomo che ha saputo arrivare all’altra sponda», lasciando un terreno sicuro per addentrarsi in un universo totalmente nuovo. Toribio «volle andare all’altra riva in cerca dei lontani e dei dispersi. A tale scopo dovette lasciare le comodità del vescovado e percorrere il territorio affidatogli, in continue visite pastorali, cercando di arrivare e stare là dove c’era bisogno, e quanto c’era bisogno!» precisa il papa. In oltre 22 anni di episcopato, 18 li passò fuori da Lima, percorrendo per tre volte il territorio sotto la sua cura pastorale: «oggi lo chiameremmo un vescovo di strada. Un vescovo con le suole consumate dal camminare», annota Francesco.
Ma Toribio «volle arrivare all’altra riva non solo geografica ma anche culturale»: promosse con molti mezzi un’evangelizzazione nella lingua nativa, dispose che i catechismi fossero tradotti in quechua e in aymara, spinse il clero a studiare la lingua indigena per amministrare i sacramenti in modo comprensibile. L’inculturazione è tema quanto mai attuale, infatti il papa prosegue: «Com’è urgente questa visione per noi, pastori del secolo XXI ai quali tocca imparare un linguaggio totalmente nuovo com’è quello digitale, per fare un esempio. Conoscere il linguaggio attuale dei nostri giovani, delle nostre famiglie, dei bambini… Come seppe vedere bene san Toribio, non basta solo arrivare in un posto e occupare un territorio, bisogna poter suscitare processi nella vita delle persone perché la fede metta radici e sia significativa. E a tale scopo dobbiamo parlare la loro lingua. Occorre arrivare lì dove si generano i nuovi temi e paradigmi, raggiungere con la Parola di Dio i nuclei più profondi dell’anima delle nostre città e dei nostri popoli».
Toribio «volle arrivare all’altra riva della carità». In particolare, quando nelle sue visite constatò le vessazioni a cui erano sottoposti gli indigeni, non esitò a scomunicare il governatore di Cajatambo, e ad accusare il sistema di corruzione e interessi che lo circondava. Per il papa, la libertà del Vangelo conduce alla «profezia episcopale che non ha paura di denunciare gli abusi e gli eccessi commessi contro il popolo. E in questo modo sa ricordare all’interno della società e delle comunità che la carità va sempre accompagnata dalla giustizia».
Toribio «volle arrivare all’altra riva nella formazione dei suoi sacerdoti»: promosse la formazione del clero nativo e difese l’ordinazione dei meticci, era vicino ai suoi preti, e non lo faceva stando seduto alla scrivania. Aveva a cuore l’unità della sua Chiesa, promuovendo «in modo mirabile e profetico la formazione e l’integrazione di spazi di comunione e partecipazione tra le diverse componenti del popolo di Dio».
Sotto la protezione di questo di vescovo evangelizzatore, così intraprendente, coraggioso e moderno, papa Francesco pone la catechesi che dovrà accompagnare gli uomini nelle sfide del presente e del prossimo futuro.

Gabriella Zucchi
Giornalista