«Penso a Santa Sofia e sono molto addolorato».
Dopo l’annuncio che, il 24 luglio, Santa Sofia da museo tornerà a moschea papa Bergoglio è intervenuto con otto parole e lunghe pause di silenzio per esprimere il dolore della cristianità e i timori del mondo laico occidentale.
La politica di islamizzazione della Turchia da parte del presidente Erdogan prosegue coinvolgendo uno dei maggiori simboli religiosi della loro e della nostra storia. La scelta di Kemal Ataturk del 1935 di sconsacrare la moschea che già fu dapprima cattedrale ortodossa andava nel segno opposto di una apertura laica della Turchia verso il mondo occidentale e verso lo stesso islam.
Ankara ha fatto sapere che i simboli di altre tradizioni religiose non saranno toccati. Ma il segnale di Erdogan è inequivocabile. La sua politica neo ottomana che dopo la Sira giunge alla Libia, apre ora l’orizzonte religioso interno ed esterno.
Questa volta il papa ha parlato. Le otto parole non erano nel testo a differenza di quanto aveva fatto due domeniche fa con la questione cinese e le repressioni a Hong Kong. Lì il testo, distribuito in sala stampa vaticana, esprimeva per iscritto una preoccupazione forte per le decisioni di Pechino nei confronti di Hong Kong. Il testo era stato approvato dal papa eppure lui stesso aveva omesso quel passaggio. In questo caso Francesco ha ritenuto, sottolineando il proprio stile e il proprio modo di procedere, di intervenire. Anche in precedenza e segnatamente sulla questione del genocidio armeno Francesco non aveva avuto timore di affrontare le proteste turche.
Sempre più papa Francesco interviene a livello internazionale a salvaguardia della libertà religiosa in nome di tutta la cristianità non solo della Chiesa di Roma.

Gianfranco Brunelli
Direttore de “Il Regno”