5 MINUTI CON… Domenico Pompili – Chiarinelli, un pastore non rinunciatario

Nella tarda serata di lunedì 3 agosto è morto all’età di 85 anni monsignor Lorenzo Chiarinelli, che dopo aver prestato servizio come vescovo in tre diocesi – Aquino-Sora-Pontecorvo dal 1983, Aversa dal 1993 e Viterbo dal 1997 – si era ritirato a Rieti. Abbiamo chiesto all’attuale pastore di Rieti, monsignor Domenico Pompili, un suo ricordo personale.

Come definirebbe il vescovo Lorenzo Chiarinelli?

«È stato un uomo perspicace, interprete raffinato della modernità e soprattutto un credente irriducibile. Questa mi sembra la cifra più caratteristica dell’uomo: è stato veramente un credente fino alla fine».

 

Qual è il suo ricordo?

«È un ricordo molto antico. Io l’ho conosciuto da seminarista quando lui, giovane vescovo di Sora nel 1983, appariva ai nostri occhi come un vescovo sorprendente, perché aveva un tratto personale nei rapporti ma anche nelle cose che diceva che attiravano la nostra attenzione. Ho avuto modo di continuare a frequentarlo negli anni successivi, da prete. E in questi cinque anni, da quando sono qui a Rieti, l’ho avuto veramente come un compagno di viaggio: pur da vescovo emerito è stato un riferimento, sempre puntuale, partecipe e illuminato. È una persona che mi mancherà veramente tanto».

 

Il vescovo Chiarinelli è stato innovativo nella riflessione post conciliare, in particolare sul piano della catechesi e dell’ecclesiologia. Qual è stato il suo insegnamento?

«Credo che sia stato tra i vescovi più attenti a quella mediazione culturale che dal post concilio in poi si è cercato di realizzare. In particolare monsignor Chiarinelli, al seguito monsignor Del Monte, fu uno dei più attenti e partecipi collaboratori del rinnovamento catechistico. Come vescovo è sempre stato uno che ha curato in modo particolare l’evangelizzazione con una spiccata sensibilità per il dato culturale. Una sensibilità che gli veniva anche dall’esperienza di vice assistente nazionale della Fuci, che aveva svolto sul finire degli anni 60, anche attraverso un dialogo diretto con Paolo VI che era stato a suo tempo assistente della Fuci».

 

Qual è stato il suo contributo alla ricezione del concilio Vaticano II?

«Il contribuito di monsignor Chiarinelli è quello di essere stato un pastore non rinunciatario, che aveva una proposta da fare. E nonostante le difficoltà che sono andate via via crescendo con il processo di secolarizzazione che si è sempre più accelerato, non è mai indietreggiato rispetto alla necessità di fare una proposta che significava per lui una visione di Chiesa che anzitutto teneva ben presente la dimensione laicale, poi si faceva interprete di un’azione che entrava dentro i gangli vitali della società, a partire dalla cultura. È stato un grande educatore delle giovani generazioni e non c’è a Rieti nessun professionista dai cinquant’anni in su che non l’abbia avuto come insegnante non solo di religione ma anche di filosofia. Nello stesso tempo monsignor Chiarinelli è stato uno che pur consapevole della parabola discendente di certo cattolicesimo popolare, ha sempre tenuta viva l’attenzione a una Chiesa di popolo e non si è mai accontentato di piccoli gruppi per quanto vivaci».

Paolo Tomassone

Giornalista

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