Erano attese almeno dal 2017 le linee guida per gli investimenti rivolte a «diocesi, parrocchie, fondazioni di religione e di carità, congregazioni, associazioni e altri enti religiosi», quando in un convegno bolognese a margine del G7 dei ministri dell’ambiente, che si svolgeva nel giugno di quell’anno, si era parlato di come l’Agenda 2030 dell’ONU da un lato e la Laudato si’ dall’altro rendevano stringente per la Chiesa dotarsi di strumenti all’avanguardia per la valutazione dei propri investimenti che in quanto tali hanno (anche) ricadute sull’ambiente (Regno-att. 14,2017,402).
Così il testo La Chiesa cattolica e la gestione delle risorse finanziarie con criteri etici di responsabilità sociale, ambientale e di governance, presentato lo scorso 26 ottobre dalla Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute e dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della CEI propone «linee guida per investire responsabilmente» in base non solo a criteri di esclusione come le black list (anche se talvolta sarebbe bastato applicare almeno questo!), ma a criteri positivi, come i principi ESG – SRI individuati dalle Nazioni Unite: Environmental Social Governance – Social Responsible Investments, che tengono conto dell’ambiente, della governance e della responsabilità sociale (condizioni di lavoro, politiche salariali, sicurezza equità, attenzione alla maternità, trasparenza nei bilanci ecc).
A questi vengono affiancati ulteriori criteri etici che caratterizzano l’attenzione tipicamente ecclesiale: come «protezione della vita» (no a chi sostiene l’aborto, a chi fa ricerche con tessuti embrionali, a chi produce le armi, ma con distinguo sul tema della difesa); «sostegno alla dignità umana» (no a chi discrimina «per razza, cultura, religione, sesso», alla pornografia, alla corruzione, a chi applica la pena di morte, a regimi totalitari, al gioco d’azzardo…).
Il testo arriva in un momento quanto mai opportuno per almeno tre motivi.
Il primo. È necessario sgomberare il campo dalla fallace ma ancora diffusa idea nei mondi ecclesiastici che il fine (di bene) giustifichi i mezzi con i quali viene raggiunto: perché esempi di messa a frutto di ingenti somme di denaro dei poveri grazie all’elusione delle tasse o all’investimento in società inesistenti sono all’ordine del giorno. Al danno «reputazionale», creato dallo scandalo per l’incoerenza etica di tali operazioni, si deve sommare il rischio economico concreto che tali operazioni spericolate provocano. E allora anche il mezzo pare poco giustificato.
La cronaca recente lo testimonia: il caso della diocesi (delegazione pontificia) di Loreto che tra il 2005 e il 2006 (delegato pontificio era mons. G. Danzi, scomparso nel 2007) aveva affidato il proprio patrimonio di 12 milioni di euro a un faccendiere che lo aveva fatto arrivare alle Cayman (nel 2021 la prossima udienza in tribunale); o quello della diocesi di Pesaro che tra il 2003 e il 2004 (nel passaggio tra i vescovi A. Bagnasco e P. Coccia) aveva investito in polizze vita gestite da una società fantasma del Liechtenstein (fondi in parte recuperati tramite un’azione dello IOR).
Il secondo. Per sgomberare il campo dall’idea che la finanza, a fronte di una complessa e scarsamente regolamentata globalizzazione economica, sia sinonimo di male assoluto, con nostalgiche e mitizzate forme di decrescita. «Anche la Chiesa è operatore economico e finanziario», affermano le linee guida: la finanza è uno strumento corrente per operare. Come diceva papa Bergoglio in forma un po’ semplificata nel viaggio in aereo tornando da Tokyo nel 2019, è «buona amministrazione» fa fruttare «la somma dell’Obolo di San Pietro», e mentre tenerla «nel cassetto» è «una cattiva amministrazione!».
Interessante a questo proposito la scelta terminologica, da parte degli estensori del testo, di «etica della finanza», da preferire a quello di «finanza etica», che «segnalerebbe un settore virtuoso della finanza, in contrapposizione a uno “non equo”. Tale impostazione è riduttiva perché tutta la finanza deve essere etica, altrimenti si riduce a mera speculazione».
Il terzo. Per sgomberare il campo dall’idea che tutto possa essere risolvibile mediante appelli generici alla dottrina sociale della Chiesa, regolarmente accompagnati da una prassi tutt’altro che irreprensibile: come l’articolato incedere dell’enciclica Laudato si’ mostra, il mondo economico-finanziario è complesso: occorrono regole chiare (il testo della CEI lo è), applicare la trasparenza (a proposito, non si parla più di pubblicare i bilanci delle diocesi?), condividere le decisioni e smettere d’affidarsi al primo esperto che mastica due termini d’inglese finanziario.

Maria Elisabetta Gandolfi
Capo redattrice Attualità de “Il Regno”