Rapporto McCarrick – La trasparenza ci renderà liberi

Anticipiamo qui su Re-blog la lettura del Rapporto McCarrick che verrà pubblicata sul prossimo n. 20 di Regno-attualità.

La pubblicazione del tanto atteso Rapporto McCarrick martedì 10 novembre è un passo effettivamente «storico» quanto a trasparenza della vita della Chiesa cattolica, a minuziosità dell’analisi (documentaria, integrata con 90 colloqui ad hoc, tra cui quello con il papa emerito e un altro con papa Francesco) e impietosità.

Molti hanno scritto e altrettanti ne scriveranno: in 461 pagine e 1.410 note vengono passati sotto la lente molti decenni di storia ecclesiale.

Colpisce che tra gli osservatori esista un sostanziale accordo: la personalità ambiziosa, intelligente e manipolatoria di colui che «pretendeva» dalle sue vittime d’essere chiamato «zio Ted» è riuscita a tenere in scacco conservatori e progressisti (più questi ultimi, visto il suo posizionamento), laici e chierici, politici e papi. Possiamo leggere i resoconti di Luigi Accattoli o di Sandro Magister, e in buona sostanza il giudizio, al netto di qualche sfumatura, è il medesimo.

Unanime (quasi) è anche l’accordo sugli inutili clamori di mons. Carlo Maria Viganò che, in base al motu proprio Vos estis lux mundi, dovrebbe ora rispondere per la (mancata) indagine su McCarrick che, in quanto nunzio, gli fu chiesta ufficialmente, ma alla quale non diede seguito (382).

Il rapporto cita anche giornalisti-vaticanisti di lungo corso come David Gibson, John Allen o firme del New York Times o del Washington Post: voci non confermate, affermazioni a mezza bocca mai circostanziate (liste di nomi di vittime nessuna delle quali era disponibile a parlare) non riuscirono a essere concretizzate in articoli e rimasero lettera morta. E la chiacchiera, negli anni Duemila ampiamente confermata, che il cardinale nella sua casa al mare dormiva a turno nello stesso letto con uno dei seminaristi che vi invitava venne derubricata a bizzarria o, al massimo a «imprudenza» (cf. 290).

Ma non c’era solo quello. Ci sono state violenze che, come quasi sempre accade, andavano dai gesti «inappropriati» agli atti sessuali veri e propri, sempre da lui negati – ma quanti pedofili incalliti si autoaccusano? –, anche sotto giuramento, come fece con Giovanni Paolo II che alla fine, dopo qualche tentennamento, si convinse e lo fece arcivescovo di Washington (cf. 169).

Solo una denuncia formalizzata l’8 giugno 2017 all’arcidiocesi di New York sfilò la pietra angolare dall’edificio menzognero costruito tenacemente da «zio Ted»: una vittima (sic!) denunciò McCarrick per violenza sessuale contro minore, consumata nei primi anni Novanta (sic!). A cui seguì il crollo definitivo causato da «otto testimoni e dichiarazioni giurate da quattro testimoni» (435). McCarrick fece pure ricorso, ma la sentenza di dimissione dallo stato clericale per «sollecitazione durante il sacramento della confessione» e per «peccati contro il sesto Comandamento con minori e adulti, con l’aggravante dell’abuso di potere» (435s), comminata nel 2018 (Regno-att. 16,2018,452), divenne definitiva.

Così «il 6 ottobre 2018, il santo padre Francesco ha disposto uno studio accurato della documentazione riguardante McCarrick, conservata negli archivi dei dicasteri e degli uffici della Santa Sede, al fine di appurare tutti i fatti rilevanti, situarli nel loro contesto storico e valutarli in maniera oggettiva» (1).

Poi occorre guardare la vicenda anche dalla prospettiva delle vittime: il Rapporto ha un enorme merito, oltre a quello evidente di fare chiarezza: quello di ridare loro una voce, tanto soffocata quanto più «il cardinale» era un intoccabile per tutti: famiglie, preti, vescovi, persino l’FBI (curiosa la nota 127 dove viene menzionata la possibilità che il prelato potesse svolgere un’azione di controspionaggio per i federali sul KGB), che non si preoccupò delle tante accuse (anonime) che negli anni seguivano come una scia gli spostamenti tra le diocesi e gli incarichi del prelato.

Non c’erano le parole per dirlo, per capire e dare una spiegazione del comportamento di un vescovo sul cui conto si diceva al massimo che era eccessivamente ambizioso (cf. 23.27). Ma c’era chi aveva capito e non ha parlato.

Perché McCarrick era uno importante, uno nella cui diocesi le vocazioni erano cresciute sensibilmente; uno che viaggiava in tutto il mondo anche per missioni diplomatiche delicate; uno che parlava con presidenti e vicepresidenti: a chi avrebbero creduto, a lui o alle vittime? Lui, che aveva voluto la Carta per la protezione dei minori di Dallas (2002, cf. 195), poteva permettersi tutto quello che voleva.

In questo senso l’azione voluta da Francesco e portata a termine dal card. Parolin è storica, perché squarcia un velo e mette a nudo «che nessuna procedura, anche la più perfezionata, è esente da errori – ha detto nella presentazione scritta e video il segretario di Stato –, perché coinvolge le coscienze e le decisioni di uomini e di donne. Ma il rapporto avrà degli effetti anche in questo: nel rendere tutti coloro che sono coinvolti in tali scelte più consapevoli del peso delle proprie decisioni o delle omissioni. Sono pagine che ci spingono a una profonda riflessione e a chiederci che cosa possiamo fare di più in futuro, imparando dalle dolorose esperienze del passato».

Naturalmente, il primo dolore a cui dare attenzione è quello delle vittime: «per le ferite che la vicenda ha provocato» a loro «ai loro familiari, alla Chiesa negli Stati Uniti, alla Chiesa universale» – afferma Parolin.

 «L’invito che mi permetto di rivolgere a chiunque cerchi risposte – conclude il segretario di Stato – è di leggere interamente il documento e non illudersi di trovare la verità in una parte piuttosto che un’altra. Solo dalla visione complessiva e dalla conoscenza, nella loro interezza, di quanto ricostruito dei processi decisionali che hanno riguardato il già cardinale McCarrick, sarà possibile comprendere quanto è accaduto».

Maria Elisabetta Gandolfi

Maria Elisabetta Gandolfi

Capo Redattrice Attualità de “Il Regno”

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