Il vescovo di Bolzano-Bressanone, mons. Ivo Muser, 58 anni, ha firmato la lettera pastorale “Per una cultura della vigilanza e della corresponsabilità”, nella quale invita tutti a confermare il chiaro segnale di cambiamento nella lotta contro abusi e altre forme di violenza. Nell’intervista commenta anche la decisione dei vescovi del Triveneto aprire all’assoluzione generale e comunitaria nel tempo di Natale.
Ascolta l’intervista a mons. Muser
Mons. Muser, in vista delle festività natalizie la Conferenza episcopale del Triveneto ha scelto di poter ricorrere alla «terza forma» del sacramento della penitenza proprio per accompagnare la comunità in questo tempo di Natale particolarmente inedito. Ci può spiegare quali sono stati i passaggi che hanno portato i vescovi a questa decisione? E ci può dire come nella sua diocesi di Bolzano-Bressanone avete deciso di metterla in pratica?
«Ci siamo confrontati all’interno della Conferenza episcopale, abbiamo pensato alle necessità e alle sfide del tempo attuale e poi abbiamo deciso di dare a ciascun vescovo, per il suo territorio, la possibilità di applicare anche questa “terza forma”. Noi in diocesi abbiamo pensato soprattutto alle case di cura, alle case per gli anziani e agli ospedali perché lì, per il momento, è veramente difficile accostarsi personalmente al sacramento della riconciliazione. Vale per un periodo determinato, dal 16 dicembre fino al 6 gennaio, solennità dell’Epifania. È un segno molto importante, per ricordare che la porta della misericordia divina è aperta, non esclude, coinvolge; Dio viene incontro a tutti noi con la sua misericordia. Ne abbiamo bisogno, soprattutto in questo periodo difficile. Quindi in questo periodo, nei luoghi che le indicavo prima, basterà accostarsi al sacramento con penitenza e con la ferma volontà di riconciliarsi con il Signore e tra di noi».
Per la sua lettera pastorale del 22 novembre ha scelto un tema molto delicato per la vita della Chiesa, quello che riguarda le violenze sessuali in particolare ai danni di minori. Perché ha pensato di intervenire su questo tema?
«Ha ragione, è un tema molto delicato e per certi versi direi anche minato. Ma è anche un tema molto attuale, che coinvolge tutta la comunità e mi sta molto a cuore. Le scioccanti notizie di abusi sessuali nella Chiesa, in tutto il mondo, di cui si è a conoscenza hanno infranto un tabù. È una realtà dolorosa, è una realtà vergognosa, ma è necessario che la affrontiamo, senza esagerare, in modo responsabile e convinto. Per questo motivo ho scritto una lettera indirizzata a tutta la diocesi e mi auguro che questa tematica possa sempre di più coinvolgere i singoli e la comunità. Serve responsabilità e serve tanta corresponsabilità. Proprio per questo mi impegno in questa direzione: per me è una priorità pastorale».
La sua diocesi da tempo è impegnata su questo fronte; siete stati tra i primi a istituire una commissione con lo scopo, tra l’altro, di raccogliere le denunce delle vittime. Che bilancio fa del lavoro di questi anni?
«Abbiamo fatto un cammino, insieme. E questo cammino ha come scopo passare da una cultura dell’ignorare a una cultura del vigilare, da una cultura della non ingerenza a una cultura della trasparenza e dell’apertura. Questo cammino deve andare avanti. Questa campagna di sensibilizzazione e anche la mia lettera pastorale devono collocarsi all’interno di questo cammino che è stato avviato nella nostra diocesi già parecchi anni fa».
In queste settimane avete scelto anche di lanciare una campagna di informazione e sensibilizzazione, con tanto di manifesti da affiggere nelle bacheche delle parrocchie. Qual è l’obiettivo della campagna?
«Come titolo abbiamo scelto “Stop agli abusi nell’ambito ecclesiale”. Il tema è chiaro e coinvolge tutti noi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, insegnanti di religione, comunità parrocchiali, organizzazioni ecclesiastiche, soprattutto scuole e convitti. Una campagna che coinvolge tutti. Detto in altre parole: dobbiamo confrontarci, dobbiamo parlare di questa ferita, non dobbiamo nascondere, non dobbiamo fare di questa ferita un tabù. E poi dobbiamo tentare di dare una risposta. Mi auguro che ci sia davvero un dialogo tra la comunità ecclesiale e tutta la società, perché dobbiamo essere onesti: l’abuso può accadere e accade spesso e ovunque, dentro e fuori la Chiesa. Per questo mi auguro un nuovo dialogo tra la società e la Chiesa, perché è una ferita che coinvolge tutti noi».
Come è stata accolta questa campagna di informazione e questa proposta dal clero e dai fedeli? Come è stata accolta dall’opinione pubblica e dai media più generalisti?
«Se penso alla nostra realtà diocesana e a quella altoatesina nel suo complesso, è diventato un argomento che coinvolge tutti noi. La mia lettera pastorale e anche questa campagna di sensibilizzazione vengono viste come un momento di riflessione, su un cammino che deve coinvolgere tutti noi. Per questo sono contento che i sacerdoti, le comunità parrocchiali, ma anche i mass media si rendano conto sempre di più che è una realtà che ha a che fare con tutti. Questa realtà vergognosa e atroce non può più essere trattata come un tabù».
Sta per terminare un anno molto duro per la pandemia da COVID-19. E certamente l’inizio del prossimo anno non sarà semplice, a causa delle ripercussioni sulla vita delle persone e sull’economia del Paese. Qual è il suo augurio per questo tempo?
«Il mio augurio è la speranza. Che non è un semplice ottimismo. Non mi piacciono gli slogan “non è successo niente, tutto andrà bene”. No, è successo molto, non è andato tutto bene. E per questo la speranza non è solo ottimismo o fare come se niente fosse. La speranza ci aiuta a trovare senso e dare senso a questa esperienza travagliata, inedita e in parte anche molto dolorosa. Mi piace molto quello che in occasione della Pentecoste aveva detto papa Francesco: peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi. Auguro a tutti noi questa apertura di fondo. Questa apertura ha a che fare molto con il mistero del Natale: Dio stesso non è rimasto nel suo Cielo, è venuto tra di noi, si è messo nei nostri panni, conosce le nostre fragilità, le nostre malattie, conosce l’umano nel senso più profondo. Auguro tanta speranza e tanta luce. La luce del Natale è una luce che non conosce più tramonto, neanche nel nostro tempo, all’interno dell’esperienza della pandemia».

Paolo Tomassone
Giornalista