Nella Settimana di preghiera per l’unità
È preparato da una comunità monastica di suore che vivono a Grandchamp, non lontano dal lago di Neuchâtel in Svizzera, il sussidio per la tradizionale settimana di preghiera per l’unità che ogni anno si celebra dal 18 al 25 gennaio. «Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto», il tema scelto. È una première da almeno due punti di vista: è la prima volta che il compito di stendere i testi guida di questi giorni di preghiera è affidato a una comunità monastica con una chiara natura e vocazione ecumenica, ed è la prima volta che un gruppo di donne «guiderà» spiritualmente questo tempo d’invocazione a Dio perché doni l’unità alle Chiese.
La storia della comunità
La storia di Grandchamp comincia negli anni Trenta del Novecento, quando alcune donne appartenenti alla tradizione riformata compresero l’importanza e il bisogno del silenzio e dell’ascolto della parola di Dio, e iniziarono a proporre ritiri spirituali proprio a Grandchamp, dove con il tempo si andò definendo una comunità stabile.
La prima responsabile fu Geneviève Micheli, una vedova e madre di tre figli che dedicò gli anni dal 1944 al 1961 a guidare il gruppo di 4 suore che andò man mano allargandosi: oggi sono circa 50, di 10 nazionalità diverse e di diverse Chiese del mondo della Riforma. Non essendoci precedenti monastici nella tradizione riformata, madre Geneviève s’ispirò all’esperienza di Taizé per redigere la regola e la liturgia che ancora oggi scandiscono la vita della comunità.
Ecumenismo al femminile
Silenzio, preghiera, dialogo sono gli strumenti per aprire le porte, colmare le distanze, saldare le rotture di cui le stesse sorelle di Grandchamp sono portatrici. Non solo le differenze confessionali, ma anche quelle geografiche, linguistiche, generazionali creano difficoltà nel quotidiano.
Rispetto al ruolo del monachesimo femminile nel cammino ecumenico, suor Gesine – che accompagna le novizie nella prima fase dei 10 anni di preparazione alla consacrazione definitiva – riflette: «La nostra specificità è la vita nascosta», e chi arriva a Grandchamp (come in ogni monastero) «lascia tutto per concentrarsi su Dio». Conseguenza ne è che anche sul fronte ecumenico quello che avviene «non è molto visibile», succede «in modo meno ufficiale»: il vantaggio è che «questo dà in qualche modo più libertà»; si offre uno spazio e un’amicizia aperti «e questo può essere utile per fare incontrare e dialogare persone che non si incontrerebbero altrove».
Una lunga elaborazione
Accanto al dialogo, ovviamente, pilastro imprescindibile della comunità è la preghiera costante: «Un ruolo importante per noi è portare l’ecumenismo nella preghiera ed essere aperte a tutte le Chiese, come se fossero la mia; essere un ponte tra le Chiese». E di questa preghiera è intriso il sussidio che le sorelle di Grandchamp hanno preparato con lunghi mesi di lavoro: «È il nostro modo di elaborare le cose che impegna tanto tempo e richiede tanta pazienza!», racconta suor Gesine.
Ciascuna sorella ha fatto le proprie proposte, le si è discusse tutte insieme e poi un piccolo gruppo di sorelle di paesi e generazioni diverse ha prodotto una bozza, che successivamente è stata di nuovo passata al vaglio di tutta la comunità. Lo sforzo è stato di cercare testi che «esprimessero quello che solo un monastero può dire, qual è il centro della nostra vita. Avremmo potuto insistere sui temi della giustizia sociale o della cura del creato, che ci sono anche cari, ma alla fine abbiamo compreso che il centro è la preghiera personale e tutto deriva da lì. Adesso se lo rileggo mi dico che quella è davvero la nostra comunità».
Questo post è una sintesi dell’articolo di Sarah Numico «Ponte tra le Chiese. L’esperienza della Comunità monastica di Grandcham», che apparirà integrale sul prossimo numero de Il Regno Attualità.

Sarah Numico
Giornalista