Dal «populismo» al «popolarismo». Un videomessaggio di papa Francesco

Il Centro per la teologia e la comunità, insediato a Londra, si propone di fornire a Chiese locali di paesi poveri, appartenenti a ogni denominazione cristiana, risorse culturali, in particolare a carattere formativo, per svolgere la loro attività attraverso una più efficace organizzazione sul piano comunitario, teologico e cultuale. Il 15 aprile scorso ha organizzato una conferenza internazionale dal titolo «A Politics Rooted in the People» alla quale papa Francesco ha inviato un videomessaggio. L’iniziativa verteva sul volume Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore (ed. it. Piemme, Milano 2020), il libro-intervista che papa Francesco ha rilasciato al giornalista inglese Austen Ivereigh. Già vice-direttore di The Tablet e poi portavoce dell’arcivescovo di Westminster, Ivereigh, anche mettendo a frutto una tesi di dottorato conseguita a Oxford sulla presenza del cattolicesimo in Argentina in età contemporanea, ha già dedicato a Bergoglio due biografie. The Great Reformer. Francis and the Making of a Radical Pope è uscito nel 2014, all’indomani dell’elezione; nel 2019 ha pubblicato Wounded Sheperd: Pope Francis and his Struggle to convert the Church.

 

Due forme di populismo secondo Ritchie

L’interesse del Centro londinese per l’intervista a Francesco si spiega con il fatto che il suo direttore, il pastore anglicano Angus Ritchie, ha recentemente dato alle stampe un libro – Inclusive Populism: Creating Citiziens in the Global Age – in cui sostiene che nel mondo attuale credenti e non credenti dovrebbero essere accomunati dall’impegno per combattere la diffusione di un «falso populismo» attraverso la promozione di un «populismo inclusivo».

A suo avviso sono esponenti esemplari del primo Donald Trump, Vladimir Putin e la serie di sovranisti che affollano il panorama politico europeo. Tale populismo si caratterizza per la formazione di leader carismatici che mirano a spossessare i cittadini dalla responsabilità di un’attiva partecipazione alla costruzione del bene comune, riducendoli a individui isolati.

La seconda forma di populismo è invece rappresentata da quei movimenti popolari che, nonostante le differenze intercorrenti tra i loro membri, tendono, dal basso, a costruire una rete di relazioni sociali, attraverso le quali cogliere un interesse comune e operare attivamente per il suo raggiungimento.

Questa analisi del populismo – oltre a essere esemplificata da episodi di cooperazione tra cristiani ed ebrei nel contrasto al fascismo inglese tra le due guerre – si ricollega alle concezioni di alcuni studiosi. Si può ricordare Luke Breterthon, professore di teologia politica alla Duke University; ma anche il filosofo argentino Ernesto Laclau, per il quale il populismo, espressione di domande popolari che la democrazia non riesce a soddisfare, potrebbe svolgere la funzione positiva di dispositivo idoneo a renderla sostanziale.

Ma il reverendo Ritchie trova consonanze anche con l’insegnamento di papa Francesco. In effetti nel libro-intervista con Ivereigh il pontefice si è soffermato sul ruolo della Chiesa nella politica contemporanea, mettendo in rilievo che la dottrina sociale cattolica, nel promuovere la giustizia, non prescinde dalla tutela della dignità del popolo.

 

Il popolo in cammino e i pastori

Non stupisce quindi che Bergoglio abbia incentrato il suo videomessaggio sul tema del populismo. Pur asserendo di condividere l’impostazione generale presente nel libro del pastore anglicano, in particolare la sua denuncia di un populismo che rende il popolo, anziché protagonista del suo destino, debitore di un’ideologia che lo priva del benessere materiale come della dignità dell’agire, dichiara di preferire al suo sintagma, «populismo inclusivo», un altro termine: «popolarismo».

Con questa parola il papa indica la messa in opera di una politica, contrassegnata dal ricorso alla P maiuscola, intesa come servizio «che apre nuovi cammini affinché il popolo si organizzi e si esprima». Condotta in questa prospettiva, la politica non è «solo per il popolo, ma con il popolo», cioè «radicata nelle sue comunità e nei suoi valori».

Da questa concezione Francesco fa discendere quel che si può considerare il nucleo centrale del videomessaggio: «Il vero pastore di un popolo, pastore religioso, è colui che ha il coraggio di camminare davanti, in mezzo e dietro il popolo. Davanti per indicare un po’ il cammino, in mezzo per sentire con il suo popolo e non sbagliarsi, e dietro per aiutare quanti sono rimasti indietro e per lasciare che il popolo con il suo olfatto trovi a sua volta cammini».

L’intervento si colloca così nel percorso di discernimento che Francesco ha compiuto nei confronti della categoria di populismo dagli esordi del suo governo. Sulla base della cultura di provenienza, ha inizialmente espresso un giudizio positivo sul populismo; ha poi corretto il tiro in relazione a una più diretta conoscenza della storia e della politica europea (cf. Regno-att. 12,2019,371). Ora è approdato a ritenere preferibile un accantonamento del termine dal suo insegnamento.

 

Un magistero in divenire

Resta invece il forte accento posto, fin dall’inizio del pontificato, sul nesso tra Chiesa e popolo. Tale rapporto, oltre ad avere una dimensione religiosa, assume anche un’incisiva connotazione politica. Su questo piano il videomessaggio insiste su un aspetto che si salda all’impegno, enunciato nei noti discorsi ai movimenti popolari e qui ribadito, a favore della lotta dei poveri per la terra, la casa, il lavoro (le tre T, sulle iniziali spagnole). L’attività politica dei cristiani comporta la volontà di rendere il popolo protagonista attivo della vita pubblica, in modo da dare pienezza alla vita della democrazia.

Francesco definisce questa prospettiva ricorrendo al termine «popolarismo». Probabilmente lo mutua dagli scrittori de La Civiltà cattolica. Da tempo la rivista della Compagnia di Gesù in Italia, facendo esplicito riferimento all’esperienza di don Luigi Sturzo, l’ha utilizzato per sintetizzare l’insegnamento papale in materia politica. In questa ricezione resta però un’ambiguità, che si può auspicare venga risolta.

Il popolarismo non è una novità nel mondo cattolico. Un confronto con la sua vicenda storica chiarirebbe meglio i contenuti dell’indicazione papale. Basta ricordare gli episodi in cui i pastori si sono preoccupati di stare davanti al popolo per imporre il cammino da intraprendere (meno di stare in mezzo per non sbagliare).

Francesco ha in alcune occasioni ribadito l’autonomia politica dei cattolici. Chiarire che nella sua visione del popolarismo il richiamo a stare «un po’ davanti al popolo» non è una reminiscenza di pretese confessionali, assai radicate nella storia della Chiesa contemporanea, darebbe più nitidezza al suo discorso innovatore.

Daniele Menozzi

Storico

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