DDL Zan, I partiti mancano e la CEI è in crisi

Il 17 giugno scorso, attraverso le vie diplomatiche, la sezione per i rapporti con gli stati della Segreteria di stato vaticana, con una nota verbale ha comunicato allo stato italiano la propria preoccupazione circa alcuni contenuti del disegno di legge n. 2005, recante «misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità», noto come DDL Zan.

«Al riguardo – si legge nella nota, resa pubblica con intento politico da parte italiana – la Segreteria di stato rileva che alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa – particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere” – avrebbero l’effetto d’incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario».

 

La laicità dello stato

«La Segreteria di stato auspica pertanto che la parte italiana possa tenere in debita considerazione le suddette argomentazioni e trovare una diversa modulazione del testo normativo in base agli accordi che regolano i rapporti tra stato e Chiesa e ai quali la stessa Costituzione repubblicana riserva una speciale menzione».

Scoppiata la polemica, vi sono stati due interventi istituzionali rilevanti. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha risposto alla nota della Santa Sede il 22 giugno durante un intervento in Senato ribadendo necessariamente e doverosamente la laicità dello stato: «L’Italia è uno stato laico, non confessionale, e le leggi rispettano sempre Costituzione e trattati». Draghi ha anche ricordato la sentenza 203 della Corte costituzionale del 1989 che specifica come «la laicità non è indifferenza dello stato rispetto al fenomeno religioso, ma tutela del pluralismo e delle diversità culturali».

Non c’è solo la considerazione aprioristica della sovranità dello stato italiano, ma anche la sottolineatura che lo stato democratico ha tutti gli strumenti per muoversi correttamente (cioè costituzionalmente) nei confronti di un’altra istituzione internazionale. In ogni caso, la materia è oggi, legittimamente, in capo al Parlamento: «Ora è il tempo del Parlamento».

Nel merito è intervenuto anche il segretario di Stato, card. P. Parolin, che in un’intervista del 23 giugno ribadisce come da parte del Vaticano non ci sia stata alcuna richiesta di fermare la legge contro l’omotransfobia, né indebite pressioni sul lavoro del Parlamento italiano. La richiesta è stata quella di rimodularla.

La lettera che il 21 giugno il papa ha inviato a p. James Martin, gesuita che svolge la sua opera pastorale tra le persone LGBT, non è affatto una smentita della nota verbale della Santa Sede, ma al contrario la dimostrazione che il Vaticano non chiede che non si faccia la legge, ma che non se ne faccia una legge dai contenuti ideologici che rovescia la discriminazione verso coloro che hanno idee rispettosamente diverse. «Dio si avvicina – dice il papa – con amore a ognuno dei suoi figli, a tutti e a ognuno di loro».

 

L’utilizzo simbolico  del diritto

L’uscita pubblica della nota vaticana ha creato prevedibili reazioni conflittuali. Non solo in sede politica. La babele di linguaggi, in un tempo di comunicazione diretta, rapida e senza mediazioni, genera ulteriore caos o, per meglio dire, sgrammaticate difficoltà, creando, nel migliore dei casi, uno slittamento continuo fra il piano morale e il piano giuridico-legislativo. Mentre nella maggioranza dei casi il dibattito viene radicalizzato su un generico pro o contro la difesa di un principio affidato esclusivamente a quella (e solo quella) formulazione legislativa.

Abbiamo affrontato il tema nel maggio scorso con un lungo saggio del costituzionalista Emanuele Rossi, che arrivava alle seguenti conclusioni: «A me pare che il cuore della proposta di legge in questione sia costituito certamente dalle norme  incriminatrici, cui s’aggiungono le disposizioni di promozione culturale avverso atteggiamenti discriminatori. Con riguardo a tale obiettivo prioritario, il quadro che sembra emergere induce a ritenere che esso sia formulato in modo talmente incerto e confuso, anche a causa dell’intersezione con diritti fondamentali che devono essere garantiti, da impedire la realizzazione di un’efficace repressione penale» («A suon di legge confusa», in Regno-att. 10,2021,276s).

Allo stesso tempo vi è anche uno slittamento continuo tra il piano descrittivo e quello prescrittivo, ed è questo uno dei problemi interni alla legge stessa per com’è scritta, non per la sua necessità, che rimane.

Concludeva Rossi: «Anche da parte di chi considera opportuno un intervento legislativo quale quello del DDL Zan si sottolinea infatti che “la norma giuridica, attraverso la sua portata simbolica, agisce sulla coscienza collettiva, così che il comportamento diventa non solo illegale, ma anche socialmente condannato”» (G.M. Locati, F.R. Guarnieri; Regno-att. 10, 2021,277).

«Indipendentemente da ogni valutazione circa il fine che si vuole così realizzare, è dunque soprattutto il mezzo che suscita perplessità, come avviene ogni qualvolta “l’entità dell’offesa è largamente superata dall’allarme sociale che essa suscita e dunque si deve rinvenire una risposta a questo allarme sociale per placarlo attraverso l’uso strumentale del diritto penale”» (T. Padovani; cf. ivi).

Questa vicenda, come in parte quella dello scorso anno nello scontro tra la Conferenza episcopale italiana e il governo Conte sul tema delle aperture alle funzioni liturgiche durante e dopo il lockdown (allora il Vaticano, pur interpellato dalla CEI, non intervenne, mentre in una seconda fase intervenne addirittura il papa e «a gamba tesa»), mostra cambiamenti profondi che sono intervenuti nel rapporto tra Santa Sede, Chiesa italiana, da una parte, e paese e governo italiano, dall’altra (cf. Regno-att. 10,2020,257).

 

La CEI debole, i partiti nel caos

Negli ultimi 10-15 anni sono saltati i livelli di mediazione tra i due punti apicali, che per la storia italiana si configurano anche come due entità indipendenti e sovrane: la Santa Sede e l’Italia.

Nella situazione politica del nostro paese sono venuti meno i partiti nella loro definizione strutturata e culturalmente consapevole (oggi sono poco più che delle organizzazioni organigrammatiche, non depositarie di un progetto politico per il paese), ed è venuta meno la Conferenza episcopale italiana.

Da tempo la CEI non è più in grado d’interloquire efficacemente con le diverse componenti politiche. Ha perso peso specifico e manca di relazioni efficaci. Occorre anche annotare che taluni dei soggetti politici dimostrano in alcuni casi (vedi il Movimento 5 Stelle) totale disinteresse a farlo.

Nei confronti del Partito democratico (PD) e in particolare verso la nuova segreteria Letta è cresciuta la delusione di molti vescovi italiani. Il PD viene visto come un partito che non sa più che cos’è e che cerca la propria identità rincorrendo, in cerca di chissà quale legittimazione, la cultura radicale. La negazione della vicenda del cattolicesimo democratico, ma anche di una parte della storia del Partito comunista. Un atteggiamento, quello del PD, che secondo i vescovi regala spazio alla Lega nel mondo cattolico.

Occorre anche annotare come lo stesso PD si sia dimenticato che al tempo dell’Ulivo la carta fondativa di quella coalizione aveva posto, per i temi relativi alla morale soggettiva inerente la vita e la morte, libertà di coscienza, escludendo esplicitamente ogni disciplina di partito in quanto limitativa della libertà d’ogni parlamentare, mentre oggi ci si trova in una situazione rovesciata, nella quale decide la segreteria del partito in base all’equilibrio delle sue minoranze interne.

La scelta lettiana di fare del DDL Zan una bandiera ideologica della propria identità è una scelta strumentale che non difende correttamente i diritti e non fa crescere un dibattitto culturale necessario su questi temi.

La crisi della CEI su questo terreno è dovuta anche alla crisi del laicato cattolico, ridimensionato negli anni dalle stesse gerarchie ecclesiastiche, che hanno avocato a sé ogni decisione, anche quelle di morale pubblica, salvo poi non essere state spesso in grado di prenderle. Mentre sia i vescovi sia le diverse organizzazioni cattoliche sono componenti a pieno titolo della comunità nazionale e come tali hanno il diritto e il dovere di esprimersi liberamente sulle questioni del paese.

L’insufficienza di questi livelli (quello dei partiti e quello dell’episcopato italiano) spiega perché su qualsiasi questione si giunga immediatamente ai livelli supremi (nel caso specifico Santa Sede e governo), il che determina inevitabilmente o un comportamento di «laissez faire» da parte vaticana un po’ su tutto quello che ha a che fare con la Chiesa italiana, oppure il generarsi di tensioni, che come tali appaiono eccessive e inopportune.

Mentre Draghi ha assunto un atteggiamento istituzionalmente corretto, che forse mette in condizione le forze politiche di tentare una mediazione autonoma e migliorativa della legge, anche se, nel «tempo del Parlamento» sono troppi coloro che vogliono andare alla conta.

Gianfranco Brunelli

Direttore de “Il Regno”

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