Guardando dall’Italia il Rapporto finale della Commission indépendante sur les abus sexuels dans l’Église (CIASE), voluta dai vescovi e dai religiosi francesi.

Il 5 ottobre è stato reso noto il rapporto finale della Commission indépendante sur les abus sexuels dans l’Église (CIASE), voluta nel 2018 dalla Conferenza episcopale francese e dalla Conferenza dei religiosi di Francia, basata su pochi principi semplici: una commissione indipendente, finanziata dai due organismi senza condizioni che non fossero il principio di legalità e di accuratezza, presieduta da una persona di alto profilo, Jean-Marc Sauvé, già magistrato al Consiglio di stato, che si è scelto 21 commissari in base alle migliori competenze professionali disponibili: nessuno di loro sapeva chi erano gli altri componenti fino al giorno della prima convocazione.

La Commissione ha ascoltato un gruppo consistente di vittime (dai 6.471 contatti avuti sono state fatte 250 audizioni), ha creato un gruppo di ricerca sugli archivi diocesani e non, a cui ha avuto un accesso quasi totale; ha commissionato un’indagine su scala nazionale all’ISTAT francese, l’INSERM; si è giovata in tempo utile – come dichiara Sauvé nella lunga intervista a Etudes che Il Regno tradurrà e pubblicherà nel prossimo numero – dell’abolizione del segreto pontificio che copriva i procedimenti canonici oggetto della propria indagine; ha incaricato un team di studiare tutti i testi di analoghe commissioni istituite a livello internazionale; ha organizzato 67 audizioni plenarie con vescovi, superiori religiosi ed esperti di varie discipline e 48 audizioni dei diversi gruppi di lavoro.

 

Nonostante la mole dei dati e delle riflessioni, molti, da vari fronti, non solo ecclesiali, si dicono o si sentono scettici.

 

A chi punta l’indice sulla presidenza della Commissione perché imperniata su «un uomo solo al comando» si può rispondere dicendo che «dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7,16): la qualità e l’estensione del lavoro svolto parla da sé.

A chi dice che le cifre sono esagerate, basate solo su proiezioni statistiche – 330.000 le vittime stimate di violenze subite all’interno della Chiesa cattolica dal 1950 al 2200 – possiamo solo dire che l’indagine fatta sull’intera popolazione francese, da un organismo non certo confessionale come l’INSERM, afferma che il 14,5% delle donne e il 6,4% degli uomini di età superiore ai 18 anni sono stati aggrediti sessualmente (non solo in ambito ecclesiastico) quando erano minorenni.

In termini assoluti si tratta di una cifra impressionante di 5,5 milioni di vittime, ferite nella loro affettività, sessualità, integrità psico-fisica. Ben venga, quindi, l’indagine voluta dalla CIASE perché apre un interrogativo enorme sulla tutela dell’infanzia e sulla sessualità nel mondo occidentale. A maggior ragione per la Chiesa, che non può reagire continuando nella logica delle mele marce. Le 45 raccomandazioni finali sono un programma a tutto campo. Il lavoro che la Chiesa compie va a beneficio di se stessa e dell’intera società.

A chi pensa che non sia bene che la Chiesa sveli l’abisso di male in cui alcuni suoi pezzi sono caduti – e che già vociavano di fronte alle richieste di perdono formulate nel Giubileo del 2000 da papa Giovanni Paolo II – si può rispondere con le parole di papa Francesco, che, rivolgendosi ai pellegrini francesi lo scorso 6 ottobre, ha detto: «Questo è il momento della vergogna. Incoraggio i vescovi e voi, cari fratelli (…) e i superiori religiosi a continuare a compiere tutti gli sforzi affinché drammi simili non si ripetano. Esprimo ai sacerdoti di Francia vicinanza e paterno sostegno davanti a questa prova, che è dura ma è salutare, e invito i cattolici francesi ad assumere le loro responsabilità per garantire che la Chiesa sia una casa sicura per tutti».

 

Non ci sono vie alternative.

 

A chi, quando si parla di Sinodo nazionale, ripete il mantra «non dobbiamo fare come la Germania», mi permetterei di ricordare che è stato proprio dalla pubblicazione del rapporto del 2018 – il famoso Studio MHG – sulle violenze perpetrate da religiosi e chierici su minori che si è arrivati a individuare la necessità di un Sinodo. La presa d’atto che si trattava di un fenomeno sistemico, con profonde ricadute sul piano teologico, ha portato a individuare 4 ambiti di ripensamento (potere e governance nella Chiesa, ruolo delle donne, dottrina sulla sessualità e vita sacerdotale oggi) che – guarda caso – si ritrovano tutti nel Rapporto finale della CIASE.

A chi in Italia di fronte a tutto questo farà spallucce e penserà di potersi voltare dall’altra parte possiamo solo far constatare che la Chiesa cattolica in Belgio, Germania, Inghilterra, Irlanda, Paesi Bassi (per stare solo in Europa) ha preso l’iniziativa. Ora anche la Francia. I segnali d’allarme ci sono tutti, perché aspettare di farsi travolgere?

Maria Elisabetta Gandolfi

Maria Elisabetta Gandolfi

Caporedattrice Attualità per “Il Regno”

Un pensiero riguardo “Perché aspettare di farsi travolgere?

  • 13 Ottobre 2021 in 02:03
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    Chi in Italia di fronte a tutto questo farà spallucce, voltandosi dall’altra parte? Penso che sia sempre più necessario cercare di individuare questo “chi”. Sia necessario cioè dare un volto a questo soggetto, senza giudicare, senza aggredire nessuno. Ritengo che più segnali indichino che il soggetto in questione sia l’episcopato italiano, ancora meglio l’alto clero, sia i vescovi, che sacerdoti e religiosi che occupano le posizioni dirigenziali all’interno delle diocesi, dei movimenti, degli ordini e delle congregazioni. Si tratta di una galassia ampia con una tendenza a replicare se stessa fortissima, al di là di competenze, doti personali, carismi. Un gruppo dirigenziale che si svecchia, non potrebbe fare altrimenti pena la scomparsa, ma con la predisposizione a mantenere una identità ben precisa: senso dell’obbedienza non abituato all’atteggiamento critico, immancabili competenze canonistiche e amministrative, visione ecclesiologica piatta e legata a un provvidenzialismo quasi ateo, per la quale nella storia della chiesa è praticamente andato sempre tutto bene e il Vaticano II e Trento sono ormai da lasciare agli storici per le loro esegesi storico critiche che alla pastorale non servono a nulla. Questa classe dirigente ha sentito vagamente parlare dei dibattiti teologici e delle rivoluzioni sociali che si sono succedute dal modernismo al postconcilio, delle crisi che le chiese di tutto il mondo hanno attraversato dalla fine dell’800 ai totalitarismi, dal ’68 al neoliberismo e ad oggi, ma non ha alcuno strumento per maneggiare questo passato prossimo ingombrante, perché è stata volutamente cresciuta nell’ignoranza e nella scarsa considerazione delle scienze umane e sociali, considerate sempre con occhio miope, come robe della modernità delle quali poter fare a meno per condurre le comunità. Quanti vescovi, preti con responsabilità diocesane, religiosi con incarichi provinciali hanno competenze storiche, sociologiche, antropologiche, psicologiche? Quanti sono in grado di fare una lettura seria della realtà circostante, previa a ogni discernimento? Quanti sono consapevoli dei limiti della loro formazione e si circondano di personale preparato? La reazione ottusa alla proposta di sinodo proveniente da papa Francesco, i tentennamenti sulla sua gestione, il rifiuto di affrontare alcuni nodi problematici interni sono un segnale dello stallo pericoloso dell’alto clero. E lo sbandierare la necessità di una chiesa in uscita, attenta alle varie povertà quasi come una via di fuga dal vuoto interno, da una vita liturgica uccisa dal ritualismo e incapace di vivere preghiera, spiritualità e carità genuine, si traduce spesso in attivismo spersonalizzato o in ripetizione di tradizioni folcloristiche. Forse il primo passo di questa classe dirigente sarebbe quello di diventare consapevole dei propri limiti come classe dirigente, aprire gli occhi sulle proprie incapacità. E il secondo passo sarebbe chiedere aiuto ai laici. Quella che è stata una commissione esterna e autonoma sugli abusi sessuali sui minori in Francia, dovrebbe essere qui in Italia prima di tutto non una, ma cento commissioni diocesane di laici, commissioni laiche e al tempo stesso ecclesiali, in forma ecumenica, permanente, una in ogni diocesi, capaci di cogestire questo tempo difficile e impegnativo per il governo delle comunità. Il gruppo dirigente dovrebbe avere il coraggio di investire anche delle risorse economiche in questa direzione, per riuscire a costituire “centri di lettura della realtà e di discernimento” che possano agire come coscienza critica laica competente all’interno degli stessi gruppi dirigenti diocesani e religiosi, toccando tutti gli ambiti problematici della vita delle comunità. E al contempo potrebbe certamente essere istituita una commissione sul modello di quella francese sugli abusi sui minori, nella speranza di fare luce in modo eguale su questo tema nel nostro paese: ma le nostre chiese, e i nostri vescovi-replicanti con scarso senso critico, poche letture e poca cultura, a volte e spesso loro malgrado burocrati disanimati, preoccupati al più di formare social manager per le parrocchie, hanno bisogno di gruppi di laicali competenti che aiutino a leggere, pensare, scegliere, costruire le comunità con la sapienza che viene dal mondo e che proprio per questo chiede e attende l’aiuto dello Spirito. E che chiedano aiuto: chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto. Lo scrivo riconoscendo a me stesso per primo quanta fatica costi chiedere aiuto.

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