Europa ed ecumenismo, le passioni di mons. Aldo Giordano

Se c’era un uomo che aveva la passione per l’Europa e per l’ecumenismo, questo era Aldo Giordano, fin da quando ancora era a Cuneo, sua terra natale, e insegnava filosofia allo Studio teologico interdiocesano e alla Scuola superiore di Scienze religiose di Fossano. Era il 1992 quando organizzava a Cuneo un grosso convegno, «Cristianesimo ed Europa», che aveva animato e aperto la città ma lo aveva anche reso «papabile» per il posto di segretario generale presso il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE). Nel 1994 l’allora presidente, il cardinal Miloslav Vlk, lo «chiese in prestito» alla diocesi di Cuneo per guidare il segretariato del CCEE a San Gallo, in Svizzera. Lì ha lavorato per 13 anni, con infaticabile entusiasmo nel cercare di costruire ponti e guarire ferite, con la medicina del dialogo.

Due in particolare le dimensioni che gli stavano a cuore: una più squisitamente europea, nella ricostruzione di un continente unito dopo le ferite della divisione, una con il respiro ecumenico e interreligioso. Momenti forti sono stati da un lato i simposi dei vescovi e tutti gli appuntamenti istituzionali, come le assemblee plenarie, con i presidenti delle conferenze episcopali. Gli dava gioia ogni passo nell’avvicinamento tra episcopati dell’Est e dell’Ovest. Sull’altro versante le pietre miliari a cui ha lavorato sono state le assemblee ecumeniche di Graz nel 1997 e di Sibiu nel 2007, con in mezzo il tortuoso percorso di redazione della Charta oecumenica.

Quel documento era per lui come un figlioletto, per quanto lo aveva curato e desiderato, ma allo stesso tempo lo comprendeva come uno spazio possibile e necessario per dare nuovo slancio e nuove prospettive alla vita ecumenica delle Chiese e dei cristiani. In quegli anni girava per l’Europa (e per l’Italia) a incontrare e raccontare quello che viveva, a convincere della bontà e dell’inevitabilità del dialogo come via di crescita verso l’unità, a cui lui era molto affezionato anche in ragione della sua appartenenza al Movimento dei focolari. Il 21 aprile di quest’anno, nella ricorrenza dei 20 anni dalla firma della Charta ecumenica, da Caracas mi aveva scritto che avrebbe presentato la Charta in un incontro e alla sera mi riferiva: «La presentazione della Charta ha suscitato gioia e interesse. Sono ritornato a 20 anni fa!». Mi sono ricordata che stava facendo quello che negli anni del CCEE aveva ripetuto tante volte: come l’Europa ha portato nel mondo la divisione, è compito dell’Europa riportare l’unità.

Da San Gallo poi è stato inglobato nei percorsi diplomatici: prima al Consiglio d’Europa, come osservatore permanente della Santa Sede e successivamente, ordinato vescovo nel 2013, nunzio in Venezuela, dove è rimasto fino al maggio di quest’anno. Questa «chiamata» lo aveva spiazzato, ma l’aveva accolta con lo spirito di «gioco» che lo contraddistingueva. Mai lamentoso, mai preoccupato, era sempre in cerca di capire dove «le stelle» lo conducessero; sempre saldamente e consapevolmente fiducioso in quel «cielo» che Nietzsche, suo «grande interlocutore», aveva chiuso sull’Europa, mentre lui si sforzava di riaprirlo e tenere aperto mostrando il senso del Vangelo per la vita delle persone.

L’incrollabile certezza che solo il dialogo può aprire le strade lo ha accompagnato anche nella sua non semplice missione in Venezuela, dove alternava ai compiti diplomatici momenti di intensa vita pastorale in mezzo alla gente. E da questa gente gli è costato fatica separarsi a maggio, quando è stato chiamato a un nuovo incarico, come nunzio presso l’Unione Europea. Tra amici si era gioito perché tornava vicino alla sua Cuneo; chi lo aveva incontrato nei percorsi europei era contento di poter riprendere discorsi e cammini che erano stati interrotti. Non c’è stato il tempo. La notizia della sua morte genera uno strappo perché Aldo era, al di là di tutto e prima di tutto, un profondo amante della vita e delle persone e sapeva far sentire tutti accolti nel suo cuore, nei suoi pensieri, nel suo affetto. Naturalmente portato alla condivisione, era generoso da tutti i punti di vista. Per la Chiesa italiana viene probabilmente a mancare una delle poche voci «ufficiali» che in questi anni si è spesa per incoraggiare al dialogo e all’incontro con il diverso, chiunque e ovunque sia, ad ascoltare profondamente, a mettersi in relazione autentica con l’altro affinché da quella relazione possa «nascere il miracolo del nuovo, il terzo», come spesso, spiegando la Trinità, ci esortava a fare e faceva lui stesso.

Sarah Numico

Giornalista

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