Un saluto al Presidente Mattarella nel ricordo di una lontana intervista

Il sobrio intervento, l’ultimo del settennato, che il capo dello Stato, il presidente Sergio Mattarella, ha pronunciato nel ricorrente appuntamento dei saluti di fine anno ha toccato alcuni nodi cruciali dell’attuale situazione dell’Italia: le sfide sociali ed economiche di un paese ancora generoso; il ritrovamento di una relazione profonda tra società e istituzioni; la tenuta della condivisione dei valori democratici di fronte alla pandemia. Sette anni difficili che hanno visto l’affermazione pericolosa del populismo e la sua crisi, innescata più dalla pandemia che dalla capacità dei soggetti politici di farvi fronte: questi alcuni dei temi sviluppati, ma anche la ritrovata ricomposizione di più larghe intese politiche con l’ultimo governo. Un bilancio positivo.

Vorremmo salutare il presidente ricordando una lontana intervista concessa alla rivista Il Regno sul finire del 1988 (cf. Regno-att. 22,1988,641). Era un secolo fa (se non un altro millennio). C’erano i partiti storici della prima Repubblica. Il rapporto cattolici e politica si poneva in termini diversi. Era un’altra Italia. Ma l’ispirazione e la tensione morale, culturale e istituzionale del cattolico e laico Mattarella era del tutto dichiarata, nella migliore tradizione del cattolicesimo democratico. Tale si è conservata nella difficile coerenza della sua azione politica e istituzionale. (G.B.)

Cattolici e democrazia: la sfida viene dal Sud

– Lei è un cattolico, di origine meridionale, nella Democrazia cristiana (DC) fa riferimento alle posizioni della «sinistra democristiana». Cosa significa tutto questo sul piano delle motivazioni dell’agire politico?

«Nel mio essere in politica vi sono due motivazioni ulteriori rispetto a quelle di ordine morale generale che chiamano all’impegno e a quelle specifiche, politiche, che mi fanno essere vicino alla sinistra democristiana: la prima deriva dalla convinzione di essere appunto meridionale. Essere cattolici al Sud significa oggi avere la convinzione dell’indivisibilità delle condizioni istituzionali e sociali della comunità nazionale. Non si tratta solo di evocare questioni di pari opportunità sociale o di pari possibilità economiche e finanziarie, ma di porre il problema della realizzazione omogenea della comunità nazionale. La seconda ragione nasce dal fatto di impegnarmi in alcune zone specifiche del Mezzogiorno, che non è solo Palermo e la Sicilia, ma forse più che altrove Palermo e la Sicilia».

Lei evoca uno stato di necessità che deve farsi contenuto della politica, che riguarda le sue motivazioni!

«Sì, quando si avverte pesantemente il peso dei comportamenti di origine mafiosa e li si avverte anche negli spazi quotidiani come un freno allo sviluppo, e negli aspetti più sostanziali di democrazia. Non c’è democrazia là dove si mantengono influenze occulte, con passaggi drammatici come quelli cui abbiamo assistito in questi anni e in questi mesi».

È un fatto di liberazione di queste zone?

«No. Questo già sarebbe tantissimo! Ma il problema è che non c’è una vera comunità nazionale, un solo paese, quando si hanno due gradi diversi di libertà a Trieste e a Palermo».

Questo cosa significa per chi proviene da una formazione «cattolico-democratica»?

«Che ci troviamo di fronte a sfide nuove e a nuove possibilità per quella esperienza storica e culturale. Se al Nord essa risulta per tanti aspetti realizzata, al Sud il problema deve essere nuovamente posto. E questo problema – che non è mera rivendicazione meridionalistica, ma un fatto che riguarda la coscienza nazionale – è una sfida per i cattolici e per la Chiesa. Se quella esperienza può conoscere nuovi sviluppi è certamente al Sud».

 

Una cultura cattolica autentica

Una sfida anche per la DC, visto che ci troviamo di fronte a un processo assai forte di meridionalizzazione del voto democristiano, perdurante dal Sessantotto?

«Sì, in primo luogo per la DC. Il mio partito, per essere all’altezza di questo processo, ha cercato di realizzare negli anni Ottanta un certo grado di rinnovamento interno e di ricambio del personale politico soprattutto al Sud».

Un importante opinion maker ha recentemente sentenziato: «Potrà piacere o no, ma in Italia non esiste una cultura cattolica in quanto tale. Esiste una religione cattolica. La cultura cattolica ha cessato di esistere con Alessandro Manzoni». Che ne pensa?

«Mi pare che vi siano più venature culturali di matrice cattolica nel nostro paese. Se penso poi, in concreto, al protagonismo preminente di cattolici nell’impegno di volontariato, mi pare che questo non sarebbe possibile se non ci fosse alle spalle una cultura cattolica autentica. Penso anche ad alcuni itinerari biografici di persone significative per il nostro paese: difficilmente questi itinerari sarebbero possibili e comprensibili senza un riferimento culturale che scaturisca dal cattolicesimo».

Il laicismo, si afferma oggi, «ha un bisogno vitale di recuperare valori morali…» e c’è in questo «una funzione delle religioni e dello spirito religioso». Cosa ne pensa?

«Tutto ciò è ambiguo. Da un lato si manifesta la percezione di un’insufficienza delle risposte che non hanno un riferimento esplicito al trascendente. Ma l’affermazione non si sottrae al rischio di interpretare lo spirito religioso in senso moralistico, domandandogli quasi una supplenza rispetto a un processo che gli rimane fondamentalmente estraneo. È accaduto altre volte nel dibattito politico di questi anni; ma non credo che il mondo cattolico possa accettare una lettura così strettamente utilitaristica della religione».

 

L’incerto rinnovamento del partito

 – Qual è secondo lei il rischio maggiore per un politico?

«La tendenza oggi prevalente a diventare un politico di professione. Non già perché la politica non debba richiedere tempo pieno o forte dedizione. Mi pare che vi sia un problema di abito mentale oltre che di modalità di esercizio, proprio di chi non sa vedere se stesso se non all’interno della politica e della politica nella sua dimensione partitica. L’identificazione modifica, giocoforza, i parametri etici».

Cosa significa per un cattolico?

«C’è qui una dimensione aperta, meta-culturale e spirituale che riguarda il significato del proprio tempo, la verifica dei criteri di giudizio con cui si è entrati in politica: se sono quelli con cui uno ha cominciato e se vanno modificati».

C’è però anche un problema che riguarda la struttura dei partiti e il loro fare politica. La selezione della classe dirigente, ad esempio.

«Sul piano oggettivo questo è il problema maggiore. Se continuerà a lungo il processo in atto, di selezione della classe dirigente per linee interne ai singoli partiti, i caratteri distorsivamente professionistici aumenteranno e i partiti saranno sempre meno in grado di interpretare ed esprimere correttamente quello che c’è nella società. Questo processo produce personale politico mediocre, rende asfittica la politica e riduce la platea da cui trarre nuovi quadri».

L’esperienza fatta dalla DC con l’assemblea degli «esterni» del 1981 è stata in proposito abbastanza deludente. Ha utilizzato gli «esterni» contro il corpo interno del partito e ha rafforzato il vertice.

«È vero che quel processo non è riuscito adeguatamente; così come il rinnovamento della DC non riesce in tante altre zone a livello locale e periferico. In base alla mia esperienza in Sicilia, posso dire che due sono i maggiori elementi di difficoltà: la resistenza delle strutture di partito all’immissione di personale esterno, che ne sconvolgerebbe gli equilibri interni, e, d’altra parte, l’estrema difficoltà a scommettere oggi sulla politica da parte del personale non di partito, anche quando il partito offre garanzie. Questa tendenza al rifiuto è fortemente presente anche nel mondo cattolico. Io spero che le scuole diocesane di formazione alla politica modifichino questo atteggiamento anche verso il nostro partito».

 

«Ho fatto bene a provarci»

 – Immagino che saranno state numerose le difficoltà che lei ha incontrato in Sicilia. Ha mia pensato di abbandonare?

«Mi sono chiesto spesso se ne valeva la pena. Oggi sono convinto di aver fatto bene a provarci».

Accanto a un processo di tecnicizzazione del personale politico e di laicizzazione del suo partito, vi è oggi l’apertura di canali nuovi di consenso col mondo cattolico, alcuni anche con modalità diverse dal tradizionale collateralismo. Quest’ultima diversità (io penso al Movimento popolare) si caratterizza per la sua irriducibilità alla dimensione partitica: convive nella DC rimanendo se stessa e talora scontrandosi con la DC.

«Due osservazioni al riguardo. La prima è relativa alla comprensione della politica che hanno sia gli integralisti che le componenti «utopistiche» o richiamantesi alle forme di evangelismo puro. Ciò che temo di più in costoro è la premessa di natura pessimistica, il pregiudizio che non si possa conseguire il bene attraverso la politica e i suoi mezzi. In virtù di questa premessa si finisce assai spesso per disporsi a scambi di benefici e di vantaggi con chiunque e in qualunque circostanza, magari con lo scopo di rendere un servizio alla comunità ecclesiale e abbandonando la politica al suo destino. La seconda osservazione riguarda la possibilità di una qualche sintesi tra anime diverse provenienti dal mondo cattolico. Questa diversità è sempre esistita. Tuttavia, perché la sintesi sia oggi ancora possibile è necessario che queste componenti accettino di fondersi, di divenire partito, senza snaturarsi. Se, invece, una realtà pre-politica presume o di tradursi come tale, direttamente, in una forma politica o di essere presente in una formazione politica senza fondersi, vuol dire che questa sintesi diviene impossibile; ma anche sul piano della forma questo risulta impossibile, perché non esiste uno spazio terzo tra movimento e formazione partitica».

Quando prega un politico?

«Credo che non sia riduttivo della politica se dico che talora proprio il senso di futilità che si sperimenta rispetto ad alcune forme della politica richiede un maggiore bisogno di preghiera».

Qual è il suo rapporto con la Chiesa locale?

«Io ho con la comunità ecclesiale di Palermo, dove vivo da vent’anni, un rapporto intenso. Prima che iniziassi il mio impegno parlamentare, soprattutto sul piano religioso lo era molto di più. Questo rimane per me un legame fondamentale. Quanto più i rapporti sono intensi tanto più mi sento abilitato all’impegno politico».

Gianfranco Brunelli

direttore de “il regno”

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