L’appuntamento de Il Regno con Stefania Monti per «La Parola in cammino», il settimanale commento alle letture della domenica, si è interrotto. Come detto da Piero Stefani nel post precedente, introducendo appunto il commento di questa settimana, suor Monti, 72 anni, clarissa cappuccina, biblista ed ebraista, è improvvisamente morta domenica 6 febbraio. La ricordiamo qui riportando una sua riflessione, scritta per il sito del Segretariato attività ecumeniche (SAE) e ripresa nel notiziario di Biblia, che risale all’estate del 2020 ma che può ben accompagnarci nel momento del suo «distacco definitivo dalla vita presente».
Credo che la Chiesa latina guardi ancora al Qohelet con un certo imbarazzo: è presente nella Liturgia delle ore, che però non è frequentata da molti, ed è quasi assente dal Lezionario (compare solo nella XXV settimana del Tempo ordinario assieme a Proverbi), come se confrontarsi con le sue domande e le sue affermazioni potesse turbare i credenti. Esse invece – domande e affermazioni – sono fondamentali per una retta visione del mondo e una crescita della fede.
È noto che la liturgia ebraica legge invece la meghillat Qohelet nella festa di Sukkot (Capanne), quando si passa parte del proprio tempo nella sukka, che, oltre a ricordare i quaranta anni nel deserto, in quanto dimora temporanea ricorda anche che nulla, anche adesso, è permanente. Su questo Qohelet ci interpella prendendo in esame i diversi aspetti della nostra esistenza.
Gli abbracci nel Primo Testamento
In particolare la litania del tempo o il poema del tempo – la denominazione cambia a seconda degli studiosi – del c. 3,1-11 invita a saper ben distinguere quando una cosa sia o no da farsi, il che non è sempre facile da individuare nella quotidianità o in generale, allorché si è incalzati dalle circostanze a prendere decisioni. Come è noto si tratta di una serie di quattordici coppie polari che esprimono la totalità di un’esperienza, a dire che benché il tutto esista come unità, l’uomo non è in grado o fa fatica a cogliere il senso dei singoli momenti. Resta quindi un’area di illogicità nella comprensione che l’uomo ha degli accadimenti.
La coppia del v. 5 lascia perplessi gli interpreti, in particolare il secondo emistichio: «un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci». Aldilà del fatto che il testo si riferisca ai rapporti sessuali o meno, il Primo Testamento mostra abbracci: di accoglienza (Gen 29,1), di commiato (Tb 10,12), di riconciliazione (non senza lacrime, Gen 33,4), della fine di una lotta (Gen 32,27). Naturalmente ci sono abbracci nel Cantico dei cantici (2,6; 8,3), ma trattandosi di due giovani innamorati che si rincorrono sui prati della Galilea o si cercano per le strade di Gerusalemme, questo non meraviglia. Si abbraccia un figlio appena nato (2Re 4,16) e infine ci sono abbracci metaforici: ci si può abbracciare alle rocce per ripararsi (Gb 24,8), lo stolto si abbraccia le mani e muore di fame (Qo 4,5), nella sciagura nazionale anche i ricchi abbracciano letame (Lam 4,5), soprattutto bisogna abbracciare la sapienza, per avere la gloria (Pr 4,8).
La vita è contatto di pelle
Nel Nuovo Testamento troviamo un grande esplicito abbraccio di accoglienza e perdono (Lc 15,20), uno di affettuosa accoglienza (Mc 9,36) e diversi abbracci che chiamerei «impliciti», perché suffragati dall’iconografia, ma non dal testo, come Lc 1,40 («Visitazione»). Forse un abbraccio accompagna il bacio di Giuda (Mt 26,49 e paralleli).
Infine, se mi è permesso, ricorderei volentieri anche un abbraccio extrabiblico, che chiamerei abbraccio-di-conversione, come quello di Francesco al lebbroso (Fonti Francescane, 1034), che Francesco stesso identifica come il momento della sua vocazione.
A dire che l’abbraccio, oltre a essere un gesto di quotidiano affetto, può sottolineare momenti chiave della vita.
Abbracciarsi o comunque toccarsi e stringersi è per noi un riconoscersi aldilà delle parole: «La vita è contatto di pelle», come ha detto Emanuele Fiano a proposito del padre Nedo, che oggi, purtroppo, a motivo dell’età e della malattia, non lo riconosce più.
Le vicende di questi ultimi mesi ci hanno drammaticamente insegnato a comprendere questo versetto 5b, perché abbiamo vissuto una lontananza coatta dai nostri anziani, dai morenti, da amici e familiari e abbiamo persino riscoperto un lessico quasi burocratico (o degli annunci mortuari), quello de «i congiunti», che si potevano sì rivedere, ma non riabbracciare. Per non parlare di una Pasqua e delle molte eucaristie non celebrate.
L’abbraccio prima del distacco
Le stesse eucaristie che adesso celebriamo sono ingessate, prive di spontaneità e calore, dato che oltre a non toccarsi, neppure si può cantare in coro. Chi si occupa di una chiesa deve esercitare infiniti controlli e nel complesso la celebrazione spesso non è sentita come viva e vivificante, ma come una sorta di atto dovuto, da espletare nel rispetto di norme necessarie, ma non liturgiche. Un precetto, più che un gesto gratuito. Si può capire e accettare, ma non è naturale.
Lo «staccarsi», l’«astenersi dagli abbracci», il «non abbracciare» o comunque non avere contatto fisico con le persone ci ricordano il nostro distacco definitivo dalla vita presente. Verrà infatti per ciascuno di noi il momento dell’abbraccio ultimo o dell’ultimo contatto, dopo il quale non ci sarà modo di toccarsi, e ci possiamo considerare fortunati se potremo averlo, visto che molti, troppi, non hanno avuto questa umana possibilità.
Questo nostro peculiare «tempo per astenersi dagli abbracci» è una lezione sulla fragilità nostra e su come siamo legati gli uni agli altri. In poche parole, siamo l’uno nelle braccia dell’altro, abbracciati anche senza volerlo, anche se un abbraccio non è fisicamente agito.
Se è vero che l’amore e l’affetto non hanno sempre bisogno di momenti di fisicità, è vero anche che quando questi ci vengono tolti ne sentiamo assoluta mancanza quasi fossimo defraudati nella nostra umanità.

Stefania Monti
Biblista
Bellissimo e verissimo!
Grazie cara Stefania, addeso ti auguriamo de essere nel eterno abbracio di Dio!
Suor Stefania ha fatto
gustare anche a noi Cristiani il Primo Testamento. Anima santa, in virtù della Comunione con chi resta, prega per me e per il mio Compagno Matteo.