Era il 17 febbraio 1992 quando la Procura della Repubblica di Milano compì i primi passi nell’indagine che sarebbe diventata Tangentopoli. Fu il giorno dell’arresto di Mario Chiesa, presidente della casa di cura Pio Albergo Trivulzio di Milano ed esponente del Partito socialista italiano. Era stato colto in flagrante mentre riceveva una mazzetta da 7 milioni. Il pool di magistrati di “Mani pulite” era guidato da Francesco Saverio Borrielli, ne fanno parte tra gli altri Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Francesco Greco e Gherardo Colombo.

Tre anni dopo l’avvio dell’indagine sui casi di corruzione e illegalità, si ha come l’impressione che sia iniziata la fine. Non solo le dimissioni di Di Pietro. Si moltiplicano le interferenze politiche nei confronti di “Mani pulite”. Il consenso dell’opinione pubblica nei confronti dei magistrati di Milano sembra meno granitico.

In un’intervista pubblicata su Regno-Attualità nel maggio del 1995 (cf. Tangentopoli: il sistema parallelo) Gherardo Colombo traccia un primo bilancio di quella fase.

Pubblichiamo ampi stralci di quell’intervista a firma di Gianfranco Brunelli.

«Ci troviamo di fronte a oltre 2.700 posizioni di indagati riferibili a qualche migliaio di imputazioni – spiega Gherardo Colombo -. Le persone sottoposte a indagine sono imprenditori, funzionari pubblici e politici; molti segretari politici e amministrativi di partito; un alto numero di parlamentari (oltre 80), vari ex presidenti del Consiglio, vari ministri (alcuni dei quali in carica al momento del loro coinvolgimento); consiglieri regionali, provinciali, comunali, ex sindaci di grandi città. L’indagine è partita interessando dapprima un solo ente di un solo settore (un ente pubblico milanese) e si è spontaneamente allargata a numerosi altri settori a livello nazionale. Dal punto di vista esterno ci sono certamente riflessi indiretti sul nostro lavoro e sulla nostra attività investigativa. Ma non parlerei di una crisi di “Mani pulite”».

 

Qual è la costante del fenomeno che le vostre indagini hanno scoperto?

«(…) Si è potuto costatare che il sistema della corruzione era estremamente diffuso, a tal punto che non saremmo lontani dal vero se affermassimo che quasi ogni contrattazione pubblica è stata accompagnata da comportamenti corruttivi, come se esistesse una consuetudine per la quale in occasione di pubblici contratti dovranno effettuarsi pagamenti di natura illecita per ottenere dal funzionario pubblico un atto o un comportamento contrario ai suoi doveri d’ufficio. (…) Appare legittimo il sospetto che la politica degli investimenti finanziari dello stato e degli altri enti pubblici sia stata inquinata e condizionata da un sistema parallelo di corruzione, e che, quindi, la spesa pubblica nel nostro paese sia stata frequentemente decisa, non tanto in risposta alle esigenze collettive, quanto alle richieste delle imprese che pagavano le tangenti».

 

Qual è stato il ruolo dei partiti e di taluni esponenti di partito in questo tipo di relazione illegale?

«(…) Molte volte si sono rilevati accordi tra più partiti diretti alla spartizione e alla gestione delle tangenti. In genere accadeva che esponenti di un singolo partito trattavano la tangente anche per altri partiti, incassavano l’importo generale e facevano pervenire agli altri esponenti di partito le rispettive quote. L’importo della tangente è gravato in genere sull’ente pubblico, dunque sulla collettività, perché l’imprenditore tende a recuperare la somma pagata trasferendo il costo sulla realizzazione dell’opera. Il denaro veniva usato per fini personali e per finanziare le attività di partito».

 

Si può fare una stima dei capitali impiegati in questo sistema?

«(…) Si possono calcolare nell’ordine di centinaia di milioni di dollari. Le percentuali che generalmente venivano pagate sulla costruzione di un’opera o sulla fornitura di un servizio variavano a seconda del valore complessivo dell’appalto e a seconda del settore».

 

Qual è il danno arrecato da tangentopoli al paese?

«Si tratta di danni molteplici. Alcuni li ho già richiamati: il costo in sé, la dissipazione delle risorse pubbliche, una deroga sostanziale al libero mercato. Ma vanno menzionati alcuni altri effetti, come la perdita di professionalità e di competitività delle imprese (vissute in un mercato protetto), il deteriorarsi del modus operandi della pubblica amministrazione e, particolarmente, l’effetto di abbassamento dei livelli reali di democrazia che la corruzione e l’illegalità hanno comportato. Si tratta di danni economici, sociali, istituzionali e morali».

 

Qual è stato il sistema delle indagini e quali gli strumenti?

«Noi non abbiamo privilegiato nessuna fonte di prova in particolare, ma l’evoluzione dell’indagine ci ha suggerito sia il canale della documentazione, sia quello delle dichiarazioni, a seconda dell’oggetto e della situazione. Importanza particolare ha avuto la scoperta dei sistemi utilizzati per il mascheramento della creazione dei fondi neri e la ricostruzione dei percorsi bancari. (…)

Quanto agli strumenti, ne voglio richiamare uno in particolare ed è l’indipendenza della magistratura sia al proprio interno (la figura del singolo magistrato indipendente e sottoposto soltanto alla legge), sia dall’esterno. È questo un dato importante che consente di comprendere come, con la crescita progressiva della consapevolezza dei magistrati del proprio ruolo, una parte della magistratura abbia potuto usufruire di garanzie sufficienti per poter dare efficacia alle indagini. Altrettanto fondamentale condizione di sviluppo delle indagini è stato il principio, costituzionalmente garantito, dell’obbligatorietà dell’azione penale (…)».

 

La vostra indagine non è un fatto ordinario per i contraccolpi che ha avuto e ha tuttora. Inoltre, rimane aperto un problema di uscita da tangentopoli.

«Mi rendo conto che questo tipo di indagini, per come si è andato sviluppando, anche senza avere finalità di carattere politico (che sarebbero del tutto improprie), ha degli effetti molto vasti, di natura sociale, crea incertezza e forse instabilità in diversi settori della vita sociale, amministrativa e politica. Per questo motivo, fin dal luglio del 1992, personalmente (e in seguito assieme agli altri colleghi) ho ipotizzato diverse soluzioni che conciliassero l’esigenza della verità e della scoperta del continente dell’illegalità velocizzando al massimo l’inchiesta e restituendo al paese un quadro complessivamente meno incerto. Il legislatore dovrebbe fare una scelta che induca, in forma trasparente, coloro che hanno commesso illeciti a venire allo scoperto, a collaborare».         

 

Qual è il livello di consapevolezza morale degli indagati rispetto alle accuse che sono loro mosse?

«(…) Dopo oltre tre anni di indagini assistiamo a un mutamento culturale che esprime una maggiore sensibilità istituzionale. Vi è stato un forte richiamo complessivo alle regole. La collettività ha avvertito, almeno in alcuni momenti, la dannosità della corruzione ed è scattata una riprovazione da parte dell’ambiente sociale che ha indebolito molto la resistenza all’investigazione, facilitando la collaborazione. Che questo si traduca in costume collettivo è difficile dire. In ogni caso credo che sia necessario un tempo lungo perché possano maturare queste nuove sensibilità».

Gianfranco Brunelli

Direttore de “Il Regno”

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