Neppure la Santa Sede aveva creduto alla effettività di un attacco diretto, massiccio della Russia all’Ucraina. Era consapevolmente preoccupata dei rischi di una escalation. Ma all’attacco si pensava che no, che non ci si sarebbe arrivati. Sarebbe stato troppo dissimile dalla strategia che Putin fin qui aveva applicato nella sua politica espansionistica. Non così in Georgia. Neppure in Crimea. Non così in Donbass.

 

Una visita inusuale

 Azioni di cyberwar, azioni condotte da mercenari sul campo, appoggio a insurrezioni interne sostenute e legittimate in chiave etnico-nazionale, secondo lo schema delle nuove cosiddette «guerre grigie» o «guerre non convenzionali», ce n’erano state. Ma un’invasione così no.

E questo spiega qualche tentennamento nell’azione diplomatica del papa. Poi la diplomazia sotterranea è emersa. Così in poche ore Francesco, nonostante la gonalgia acuta che gli ha fatto rinviare la visita a Firenze, si è dapprima recato all’ambasciata della Federazione Russa presso la Santa Sede, il 25 febbraio, poi ha parlato telefonicamente con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e con l’arcivescovo maggiore dei greco-cattolici ucraini Sviatoslav Shevchuk, che è rimasto a Kiev e ha aperto la cattedrale e le Chiese per dare accoglienza agli sfollati. La visita all’ambasciata è del tutto inusuale. Un gesto alla Francesco, di solito è la Santa Sede che convoca l’ambasciatore. Qui con un gesto di umiltà è andato il papa. Le sue parole devono essere state piuttosto ferme. La disponibilità della Santa Sede a farsi parte di una azione diplomatica totale, così come la richiesta di apertura di corridoi umanitari e il rispetto della popolazione civile.

 

Tacciano le armi!

 Ieri, all’Angelus, papa Francesco è tornato in maniera accorata sulla situazione di guerra. E prima di salutare in ucraino i pellegrini di quel paese presenti in piazza San Pietro con le bandiere nazionali, ha detto: «In questi giorni siamo stati sconvolti da qualcosa di tragico: la guerra. Più volte abbiamo pregato perché non venisse imboccata questa strada. E non smettiamo di pregare, anzi, supplichiamo Dio più intensamente. Per questo rinnovo a tutti l’invito a fare del 2 marzo, Mercoledì delle ceneri, una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Ucraina. Una giornata per stare vicino alle sofferenze del popolo ucraino, per sentirci tutti fratelli e implorare da Dio la fine della guerra. Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere. Si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio. E si distanzia dalla gente comune, che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra. Penso agli anziani, a quanti in queste ore cercano rifugio, alle mamme in fuga con i loro bambini… Sono fratelli e sorelle per i quali è urgente aprire corridoi umanitari e che vanno accolti.

Con il cuore straziato per quanto accade in Ucraina (…) ripeto: tacciano le armi! Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza. Perché chi ama la pace, come recita la Costituzione italiana, “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11)».

 

Putin è solo

La posizione del papa è chiara: condanna senza riserve dell’invasione dell’Ucraina da parte di Putin; condanna della violazione del diritto internazionale e della libertà di quel popolo; solidarietà e aiuto a chi soffre. La consapevolezza di una situazione di pluralismo confessionale oggi più difficile (cristiani contro cristiani) rimane e spiega le cautele iniziali – anche quel quadro domani sarà più difficile da ricomporre dopo lo scandalo di quel che sta accadendo –, ma la condanna è netta e senza appello. Putin è solo nella paranoia tragica di questa guerra.

Gianfranco Brunelli

Direttore de “Il Regno”

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