«Per la fede cristiana il ritorno alla domanda che è la morte è sfida a tornare a quella morte, dove si è consumata la morte della morte: la morte del Figlio di Dio nella tenebra del Venerdì santo sulla collina fuori di Gerusalemme e il suo risorgere alla vita.
Nell’evento della morte in Dio avvenuta sulla croce (che nulla ha a che vedere con la morte di Dio dell’ateismo senza speranza) è rivelato e promesso il senso del vivere e del morire umano.
A quell’evento si volge lo sguardo della fede alla ricerca di un significato, che faccia non solo della vita il cammino responsabile dell’imparare a morire, ma anche della morte il giorno di una nuova nascita (dies natalis, come lo chiama la tradizione della Chiesa): è nella morte e risurrezione del Figlio incarnato che si rivela la luce della vita che vince la morte per tutti noi. Dio esce da sé e viene a noi affinché noi possiamo andare a lui!».
Una nuova urgenza
Mentre inizia la Quaresima proponiamo alcuni passaggi della lettera per la Quaresima e la Pasqua 2022 dell’arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte, intitolata La vita che vince la morte e pubblicata integralmente sul n. 5 (marzo 2022) de Il Regno-documenti, attualmente in stampa.
Il testo, un invito ad accettare la sfida che la vita (e quindi la morte) ci pone davanti, prende le mosse dalla costatazione che i tanti lutti, a cui continuiamo purtroppo ad assistere, riaccendono con nuova urgenza il tema della morte nella fede cristiana: la morte e risurrezione del Figlio in cui si rivela il senso del vivere e del morire umano.
Citando Montale, Horkheimer, Lafont, Barsacchi, von Balthasar, il teologo ritorna a «quella morte, dove si è consumata la morte della morte», individuando nel supremo abbandono del Figlio al Padre e nella comunione suprema che li unisce due aspetti della morte di Gesù che possono aiutarci a comprendere il mistero della nostra morte.
Nell’abbandono
«All’abbandono – scrive il pastore e teologo in un altro passaggio della lettera – si unisce nella vicenda del Verbo incarnato la comunione con colui che l’abbandona: l’abbandonato si abbandona a sua volta, accettando in obbedienza d’amore la volontà del Padre: “Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà” (Mt 26,42). Alla consegna di colui che non risparmia il proprio Figlio (cf. Rm 8,32), risponde la consegna che il Figlio fa di sé (cf. Gal 2,20): la morte, evento dell’ultimo, supremo abbandono, è vissuta da lui come atto di libertà e di offerta suprema.
La croce rivela così la possibilità di vivere la lontananza più alta come profondissima vicinanza: nel dolore della separazione più grande si consuma il fuoco dell’amore, forte come la morte (cf. Ct 8,6).
«Portami via per mano ad occhi chiusi»
Morire in Dio, affidandosi a lui e confidando in lui, diventa l’evento per il quale la persona, consegnata al supremo abbandono dal Padre, accetta con Cristo e per lui di vivere la propria morte come offerta totale di sé, in un atto di obbedienza pura: morire è “abbandonarsi” nel seno di Dio, lasciando che tutto si trasfiguri in colui che ci accoglie.
Lo esprime con rara efficacia uno scrittore del nostro tempo, Renzo Barsacchi: “Portami via per mano ad occhi chiusi / senza un addio che mi trattenga ancora / tra quanti amai, tra le piccole cose / che mi fecero vivo. / Non credevo, Signore, tanto profondo fosse / questo sfiorarsi d’ombre, questo lieve / alitarsi la vita nello specchio / fragile di uno sguardo, / né pensavo che il mondo / divenisse, abbuiando, così acceso / di impensate bellezze” (Le notti di Nicodemo, Thule, Palermo 1991, 11)».

Daniela Sala
Caporedattrice Documenti per “Il Regno”