Un paese libero e democratico viene invaso militarmente e fatto oggetto di una guerra di aggressione in nome di una situazione storica che non è più in essere da trentadue anni, a motivo dell’implosione dell’allora sistema comunista denominato URSS, e in nome di un nazionalismo etnico-religioso che non ha e non può avere neppure la pretesa universalistica del comunismo sconfitto dalla storia.
Eppure Putin vuole ricostruire un equilibrio geostrategico basato su sfere di influenza come durante la Guerra fredda, per questo vuole annettersi l’Ucraina (poi cosa ne sarà della Repubblica di Moldavia e della Georgia?) e destabilizzare l’Europa (occorre guardare a cosa sta succedendo in Bosnia). Putin. Egli non teme la NATO. Teme l’Europa. Non la tensione militare ai confini, ma la democrazia. Il suo contagio. Solo in un sistema di scontro tra blocchi di potere, il suo sovranismo regge.

 

Non è possibile l’equidistanza

A Kiev si confrontano due modelli di sovranità: la centralità dello jus, che istituisce quel delicato equilibrio tra legalità e legittimazione sul quale si reggono le democrazie e le libertà, e l’idea della forza monocratica, il kratòs, che evoca l’arbitrio e il riferimento a una forza brutale, primitiva, al prevalere violento sugli altri. In un contesto arcaico, omerico, ricordava Benveniste, «kratòs è la facoltà di averla vinta in una prova di forza. Indica la superiorità di un uomo, sia che affermi la sua forza su quelli della sua parte o sui suoi nemici». Il potere brutale di un capo.
Non c’è alcuna possibilità – come una parte del pacifismo ideologico lascia tristemente a intendere – di una qualche equidistanza tra democrazia e autoritarismo, tra lex e kratòs, magari in nome delle responsabilità politiche dell’Occidente, che certamente ci sono. Il Trattato di Versailles del 1919 non spiega né giustifica gli orrori di Hitler.

 

Chiamare le cose con il loro nome, come ha fatto il papa

Anche papa Francesco ieri all’Angelus è intervenuto nuovamente sulla questione ucraina. Lo ha fatto anzitutto sul dramma umanitario: «In Ucraina scorrono fiumi di sangue e di lacrime (…) Le vittime sono sempre più numerose, così come le persone in fuga, specialmente mamme e bambini». Ma anche sul piano politico, chiamando le cose col loro nome: «Non si tratta solo di un’operazione militare, ma di guerra, che semina morte, distruzione e miseria».
Dunque non c’è alcuna equidistanza tra Putin e l’Ucraina, tra l’aggressore e l’aggredito da parte della Santa Sede. Né ci può essere equidistanza perché verrebbe meno l’idea di bene se la vittima e il carnefice fossero messi sullo stesso piano. E con l’idea del bene verrebbe meno l’idea di Dio. Poi c’è il tema del rispetto del diritto internazionale: «Cessino gli attacchi armati e prevalga il negoziato – e prevalga pure il buon senso –. E si torni a rispettare il diritto internazionale!».

 

L’informazione e la repressione

Putin non ha agito nel quadro di alcun diritto. E anche all’interno del proprio paese sta violando ogni forma di legittimità: la crescente repressione contro l’opposizione e i dissidenti e le leggi per distruggere la libertà di informazione stanno facendo virare il regime putiniano in senso sempre più autoritario e autocratico.
È la prima volta che un papa ringrazia l’informazione in una situazione di guerra: «Vorrei ringraziare anche le giornaliste e i giornalisti che per garantire l’informazione mettono a rischio la propria vita. Grazie, fratelli e sorelle, per questo vostro servizio! Un servizio che ci permette di essere vicini al dramma di quella popolazione e ci permette di valutare la crudeltà di una guerra». L’informazione oltre la menzogna e la propaganda.

Gianfranco Brunelli

Direttore de “Il Regno”

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