Sono arrivate in Vaticano in questi giorni tre delegazioni di popoli indigeni canadesi, accompagnate dai vescovi, per incontrare il papa e domandargli le scuse per gli abusi subiti nel corso dell’ultimo secolo e mezzo nelle scuole residenziali del Canada, con la Chiesa cattolica complice della «colonizzazione» e di un «genocidio culturale». I tre incontri, a porte chiuse, sono dedicati all’ascolto da parte di Francesco che prenderà la parola venerdì.
Il dramma vissuto nei «convitti indiani»
Dal 1863 al 1998, oltre 150mila bambini indigeni vennero separati dalle famiglie e trasferiti in queste scuole gestite dalla Chiesa cattolica e nate per assimilare i nativi. Ai bambini veniva spesso vietato di parlare la loro lingua e vennero non di rado maltrattati, picchiati e abusati sessualmente. Una commissione nata nel 2008 ha accertato che molti non tornarono mai a casa; lo stesso anno il governo canadese ha chiesto scusa per il passato; il rapporto Truth e Reconciliation (verità e riconciliazione) nel 2015 ha parlato di «genocidio culturale». Il progetto Missing Children, bambini spariti, ha documentato la morte di oltre 4.100 bambini. Nel 2021 è stata scoperta una nuova fossa comune, presso la Kamloops Indian Residential School, aperta dal 1890, dal 1892 gestita dalle suore Oblate di Maria Immacolata, chiusa nel 1978.
Su Regno-Documenti la ricostruzione dei fatti.
Chiese e abusi: la riconciliazione va costruita
«Dal XIX secolo e fino a tutti gli anni Sessanta, le nostre Chiese cooperarono con il governo del Canada nella gestione dei “Convitti indiani”. Nonostante le buone intenzioni e la cura di molti che lavorarono in queste scuole, è chiaro che i Convitti indiani a livello di politiche e di prassi furono una forma di violenza nei confronti delle famiglie, della cultura, della lingua e delle tradizioni spirituali indigene, e causarono un grave danno. Noi continuiamo a riconoscere la nostra parte in questo sistema e a pentircene. A subire la violenza furono dei bambini, vulnerabili, allontanati dalle loro famiglie e comunità. La violenza sessuale, fisica e psicologica che essi subirono è ben documentata». Così il 2 giugno 2015 l’arcivescovo anglicano Fred Hiltz, primate della Chiesa anglicana del Canada, leggendo un documento firmato dai rappresentanti delle Chiese cattolica, anglicana, presbiteriana e unita ha riconosciuto le corresponsabilità delle Chiese cristiane nelle violenze perpetrate per un secolo dal governo canadese per la politica d’assimilazione dei popoli aborigeni, che potevano essere inuit, meticci o indiani (first nations).
Lo studio «Background» dell’Arcidiocesi di Toronto e il «mea culpa» dei vescovi
L’arcidiocesi di Toronto il 9 luglio 2021 ha pubblicato uno studio intitolato Background per i cattolici: le scuole residenziali, nel quale si ricapitola il percorso svolto dalle Chiese canadesi e dalla comunità civile per affrontare l’impatto della colonizzazione e il coinvolgimento della Chiesa nelle scuole residenziali, in modo da rispondere alla sofferenza dei popoli indigeni e agli effetti persistenti del trauma intergenerazionale.
La Commissione verità e riconciliazione aveva rivolto anche alla Chiesa cattolica alcuni appelli, tra cui un invito al papa a recarsi in Canada per consegnare alle vittime del sistema dei convitti indiani una richiesta di perdono.
Il 24 settembre 2021 la Conferenza episcopale canadese, dopo la sua Assemblea plenaria, ha espresso in una nota il suo rimorso per i maltrattamenti e la morte di migliaia di bambini indigeni nelle scuole residenziali.
Razzismo e dottrine
«Un passo interessante nell’analisi delle strutture e delle culture soggiacenti alla discriminazione razziale – ha scritto Daniela Sala su Regno-Documenti 7/2019 – è stato compiuto dalla Conferenza dei vescovi cattolici e altre organizzazioni cattoliche canadesi. In alcuni documenti nel 2016, in risposta a un rapporto della Commissione verità e riconciliazione sul tema, esse hanno analizzato il problema storico del trattamento inflitto alle popolazioni indigene in Canada e come affrontare quella storia oggi (cf. Origins 46[2016] 1, 6-12). In essi dichiarano fermamente che “ai popoli indigeni, creati a immagine e somiglianza di Dio, nostro creatore, in passato si sarebbero dovuti riconoscere e rispettare i diritti umani fondamentali, e si deve respingere e contrastare con la massima forza ogni situazione in cui non vengono riconosciuti e rispettati la loro umanità e i loro diritti umani fondamentali nel passato e nel presente”; e “le Scritture della Chiesa, la tradizione e la teologia non offrono base alcuna per la conquista, da parte degli europei, di terre già abitate da popolazioni indigene”».
Papa: ascoltare e fare spazio al dolore
Dopo diversi rinvii dovuti alla pandemia, da ultimo a dicembre, ora, a Roma sono giunti 32 anziani indigeni, «custodi della conoscenza», sopravvissuti alle scuole residenziali, e svariati giovani. Delegati di tre distinte associazioni – l’Assemblea delle Prime Nazioni (AFN), il Métis National Council (MNC) e l’Inuit Tapiriit Kanatami (ITK) – che, si legge in un comunicato dell’episcopato canadese, «portano una profonda esperienza vissuta dal di dentro dell’eredità delle scuole residenziali e degli impatti del colonialismo». Molti dei presenti a Roma sono «coinvolti direttamente nel percorso in corso di guarigione e riconciliazione».
Papa Francesco desidera «ascoltare e fare spazio alle dolorose storie portate dai sopravvissuti»: lo sottolinea la sala stampa vaticana in un comunicato diramato a conclusione delle prime due udienze. Ognuno dei primi due incontri «ha avuto la durata di circa un’ora ed è stato caratterizzato, da parte del Papa, dal desiderio di ascoltare e fare spazio alle dolorose storie portate dai sopravvissuti. Gli incontri e l’ascolto proseguiranno nei prossimi giorni secondo le informazioni già fornite».
