Ucraina – Accoglienza profughi: dal cuore alla mente

Su Regno-Attualità n. 8, che viene spedito in questi giorni, il sociologo Maurizio Ambrosini presenta e commenta la svolta nelle politiche europee dell’asilo imposta dalla guerra in Ucraina: l’attivazione della direttiva n. 55 del 20 luglio 2001, relativa alla «concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati». Ne riportiamo alcuni stralci; l’articolo completo è già a disposizione degli abbonati sul sito de Il Regno.

 

In Europa e in Italia

«Gli aspetti salienti – scrive Ambrosini – sono essenzialmente tre. Anzitutto i profughi dall’Ucraina sono esentati dall’obbligo di presentare domanda d’asilo e di sottoporsi alle complesse procedure necessarie per dimostrare di essere “autentici rifugiati”. Già titolari da alcuni anni del diritto a entrare nell’UE senza obbligo di visto, per soggiorni turistici di durata inferiore ai 90 giorni, potranno rimanere sul territorio dell’Unione per un anno, rinnovabile per altri due. In secondo luogo, non dovranno fermarsi nel primo paese d’ingresso, ma potranno attraversare liberamente le frontiere interne e scegliere il luogo in cui fermarsi, o eventualmente spostarsi ancora. Non subiranno restrizioni nel diritto a muoversi. Potranno raggiungere parenti e amici, stabilirsi in un paese di cui conoscono la lingua, o con un mercato del lavoro più promettente, o da cui sperano di ricevere servizi migliori. (…) Il terzo elemento innovativo è l’accesso immediato al mercato del lavoro e ai servizi sociali: scuola per i minori, formazione professionale per chi intende imparare un mestiere, sanità per tutti. Eliminati i tempi d’attesa e, si spera, i vincoli politico-burocratici che hanno pesato sui percorsi d’integrazione dei precedenti flussi di richiedenti asilo. I profughi ucraini diventano subito residenti regolari a tutti gli effetti».

«Riconoscendo il valore di questo afflato solidale, forse l’unica buona notizia di questa tragica vicenda, occorre però coglierne anche i limiti», afferma poi Ambrosini, analizzando in particolare la situazione creatasi in Italia, dove, a inizio aprile, il numero di profughi ucraini era stimato in circa 80.000 persone.

«Oltre a recepire le nuove regole dell’UE, le norme italiane introducono altre innovazioni. L’articolo 1 dell’ordinanza della Protezione civile reca il titolo “Accoglienza diffusa”. Prevede d’integrare l’offerta pubblica di servizi d’ospitalità rivolgendosi agli enti del Terzo settore, ai centri di servizi per il volontariato, alle associazioni registrate, agli enti religiosi civilmente riconosciuti. Questi soggetti potranno concorrere ad aumentare il numero dei posti disponibili, a condizione di garantire un trattamento alle persone accolte paragonabile a quello statale e di prevedere un pieno coinvolgimento dei comuni, mediante la sottoscrizione di accordi di partenariato. Si profila così – dopo anni – una strategia d’accoglienza condivisa, che chiama a collaborare enti locali, servizi pubblici, forze organizzate della società civile, datori di lavoro».

 

Quanto durerà la mobilitazione?

In conclusione, il sociologo pone le due «questioni decisive» che «rimangono aperte».

«La prima si riferisce alla natura delle emozioni che hanno di fatto guidato la svolta di Bruxelles. Le emozioni per loro natura non durano a lungo, forse soprattutto quelle positive. Si è già visto in Germania nel 2015, quando la ventata di solidarietà e la grande mobilitazione a favore dei rifugiati si sono dissolte in pochi mesi.

Qualcosa del genere è avvenuto in Italia, con il repentino cambiamento dell’atteggiamento di gran parte dell’opinione pubblica nei confronti delle ONG impegnate nei salvataggi in mare: da eroi a vice-scafisti, e addirittura pirati. Non è andata molto bene neppure ai profughi (o agli aspiranti profughi) dall’Afghanistan: in agosto, alla caduta di Kabul, sembrava che ne volessimo accogliere decine di migliaia, alla fine ne sono stati ammessi soltanto 3.000 su 5.000 posti previsti. Cautele securitarie e lungaggini procedurali, ma anche nessuna protesta da parte dell’opinione pubblica.

Dunque oggi è lecito domandarsi quanto durerà la mobilitazione di questi giorni, e quanto reggerà alla prova delle inevitabili difficoltà dell’integrazione di persone che nemmeno si sono preparate a emigrare, e che chiederanno servizi e aiuti di vario genere. Già affiorano notizie di famiglie che hanno accolto dei rifugiati in casa nei primi giorni, ma ora stanno chiedendo alle istituzioni di farsene carico.

La seconda questione riguarda il passaggio dallo spontaneismo a un’accoglienza organizzata ed efficace. Per esempio, suscita preoccupazione il basso numero di minori non accompagnati finora registrati come tali. L’accoglienza spontanea, dettata dal cuore, ha una forza dirompente, ma ha anche bisogno d’essere incanalata in interventi ben congegnati, competenti, in grado di durare nel tempo.

Serve un’alleanza tra istituzioni pubbliche, centrali e locali, organizzazioni della società civile, comunità ecclesiali, semplici cittadini, immigrati ucraini e magari di altre provenienze, per dare vita a un’accoglienza diffusa ed efficace. Serve il volontariato, ma servono anche competenze e interventi qualificati. Serve il cuore, ma anche la ragione. Serve la generosità, ma anche la capacità organizzativa. L’accoglienza dei profughi ucraini è un’occasione da non sprecare per costruire un sistema d’accoglienza partecipato, all’altezza delle sfide e delle tensioni del nostro tempo».

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