Sul suo blog Luigi Accattoli presenta e commenta così l’intervista odierna di papa Francesco a Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera (al colloquio ha partecipato Fiorenza Sarzanini, vicedirettore).
Intervista piena di informazioni e implorazioni quella che Francesco ha dato al Corriere della Sera di oggi. La volontà di incontrare Putin per fermare la guerra, lo scontro che ha avuto con il patriarca Kirill, la NATO che abbaia alla porta della Russia, le proteste che gli sono arrivate dagli ucraini per le due donne chiamate a portare la croce: «Sono un popolo fiero». Le guerre che servono per «provare le armi», la mancanza di una vera «volontà di pace». L’ottimo lavoro del cardinale Parolin. La resistenza dei vescovi italiani al cambiamento. Riporto nei commenti i passaggi principali e metto alla fine una mia nota.
Putin non ci ha risposto
«Il primo giorno di guerra ho chiamato il presidente ucraino Zelensky al telefono. Putin invece non l’ho chiamato. L’avevo sentito a dicembre per il mio compleanno ma questa volta no, non ho chiamato. Ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato dall’ambasciatore russo. Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto “per favore fermatevi”. Poi ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca. Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla? Venticinque anni fa con il Ruanda abbiamo vissuto la stessa cosa».
La NATO che abbaia
«Forse l’abbaiare della NATO alla porta della Russia ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto. Un’ira che non so dire se sia stata provocata ma facilitata forse sì».
Armi all’Ucraina?
«Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini. La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto. Così avvenne nella Guerra civile spagnola prima del Secondo conflitto mondiale. Il commercio degli armamenti è uno scandalo, pochi lo contrastano. Due o tre anni fa a Genova è arrivata una nave carica di armi che dovevano essere trasferite su un grande cargo per trasportarle nello Yemen. I lavoratori del porto non hanno voluto farlo. Hanno detto: pensiamo ai bambini dello Yemen. È una cosa piccola, ma un bel gesto. Ce ne dovrebbero essere tanti così».
A Kiev per ora non vado
«Ho inviato il cardinale Michael Czerny (prefetto del Dicastero per la promozione dello sviluppo umano integrale), e il cardinale Konrad Krajewski (elemosiniere del papa), che si è recato lì per la quarta volta. Ma io sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…».
Kirill chierico di Stato
«Ho parlato con Kirill 40 minuti via Zoom. I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo».
Ucraini popolo fiero
«Il mio allarme [sulla guerra mondiale a pezzi] non è stato un merito, ma solo la constatazione della realtà: la Siria, lo Yemen, l’Iraq, in Africa una guerra dietro l’altra. Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali. Non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero. In Ucraina sono stati gli altri a creare il conflitto. L’unica cosa che si imputa agli ucraini è che avevano reagito nel Donbass, ma parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio. Certo loro sono un popolo fiero. Per esempio quando per la Via crucis c’erano le due donne, una russa e l’altra ucraina, che dovevano leggere insieme la preghiera, loro ne hanno fatto uno scandalo. Allora ho chiamato Krajewski che era lì e mi ha detto: si fermi, non legga la preghiera. Loro hanno ragione, anche se noi non riusciamo pienamente a capire. Così sono rimaste in silenzio. Hanno una suscettibilità, si sentono sconfitti o schiavi perché nella Seconda guerra mondiale hanno pagato tanto tanto. Tanti uomini morti, è un popolo martire. Ma stiamo attenti anche a quello che può accadere adesso nella Transnistria».
Volontà di pace vo cercando
«Per la pace non c’è abbastanza volontà, la guerra è terribile e dobbiamo gridarlo. Per questo ho voluto pubblicare con Solferino un libro che ha come sottotitolo Il coraggio di costruire la pace. Orbán, quando l’ho incontrato mi ha detto che i russi hanno un piano, che il 9 maggio finirà tutto. Spero che sia così, così si capirebbe anche la celerità dell’escalation di questi giorni. Perché adesso non è solo il Donbass, è la Crimea, è Odessa, è togliere all’Ucraina il porto del Mar Nero, è tutto. Io sono pessimista, ma dobbiamo fare ogni gesto possibile perché la guerra si fermi».
Bene con Mario Draghi
«L’Italia sta facendo un buon lavoro. Il rapporto con Mario Draghi è buono, è molto buono. Già in passato, quando era alla Banca centrale europea, gli ho chiesto consiglio. È una persona diretta e semplice. Ho ammirato Giorgio Napolitano, che è un grande, e ora ammiro moltissimo Sergio Mattarella. Rispetto tanto Emma Bonino: non condivido le sue idee ma conosce l’Africa meglio di tutti. Di fronte a questa donna dico, chapeau».
Mentalità preconciliare in Italia
«Spesso ho trovato una mentalità preconciliare che si travestiva da conciliare. In continenti come l’America Latina e l’Africa è stato più facile. In Italia forse è più difficile. Ma ci sono bravi preti, bravi parroci, brave suore, bravi laici. Per esempio una delle cose che tento di fare per rinnovare la Chiesa italiana è non cambiare [trasferire: mia nota] troppo i vescovi. Il cardinale Gantin diceva che il vescovo è lo sposo della Chiesa, ogni vescovo è lo sposo della Chiesa per tutta la vita. Quando c’è l’abitudine, è bene. Per questo cerco di nominare i preti, come è accaduto a Genova, a Torino, in Calabria [invece di trasferire i vescovi da una sede all’altra: mia nota]. Credo che questo sia il rinnovamento della Chiesa italiana. Adesso la prossima assemblea dovrà scegliere il nuovo presidente della CEI, io cerco di trovarne uno che voglia fare un bel cambiamento. Preferisco che sia un cardinale, che sia autorevole. E che abbia la possibilità di scegliere il segretario, che possa dire: voglio lavorare con questa persona».
Ginocchio matto
«Scusatemi se non posso alzarmi per salutarvi, i medici mi hanno detto che devo stare seduto per il ginocchio. Ho un legamento lacerato, farò [oggi] un intervento con infiltrazioni e si vedrà. Da tempo sto così, non riesco a camminare. Una volta i papi andavano con la sedia gestatoria. Ci vuole anche un po’ di dolore, di umiliazione…».
Mi affido a Parolin
«Il cardinale Pietro Parolin è davvero un grande diplomatico, nella tradizione di Agostino Casaroli, sa muoversi in quel mondo, io confido molto in lui e mi affido».
Mia nota
Francesco con questa intervista esce dalle cautele diplomatiche e prova a sbloccare il processo di pace facendo ricorso a una piena libertà di parola, quale mai si era vista in un papa nel mezzo di una guerra guerreggiata. Fino a ieri aveva cercato di accettare il suggerimento della Segreteria di stato di non nominare Putin e la Russia e c’era riuscito almeno per quanto riguarda Putin, perché la Russia l’aveva addirittura consacrata alla Madonna. Ma ora, volendo dare una spinta a un negoziato che non decolla, mette in chiaro tutto ciò che fa, dice, pensa. Si mostra attendo e mordace anche su elementi secondari: come quello dei carrarmati che ormai «servono a poco», o quello delle incognite che «adesso» gravano sulla Transnistria. Narra retroscena, svela progetti e motivazioni.
Per fermare la mattanza prende il toro per le corna, anzi i molti tori che battono l’unghia sull’arena ucraina. Prova a stanare Putin denunciando che neanche risponde alla sua richiesta d’incontrarlo. Non si limita a far sapere che non condivide l’appoggio di Kirill «all’operazione militare speciale», ma dichiara che i pastori della Chiesa non possono benedire le guerre. Con la stessa schiettezza mette in luce le due provocazioni venute dall’Occidente: la NATO che «abbaia alla porta della Russia» e la fiera delle armi che vanno «provate» nell’incredibile poligono di tiro che è oggi l’Ucraina. Infine l’elogio al cardinale Parolin, al quale con questa intervista disobbedisce in tutto: lo ringrazia, dice che a lui si affida e lo paragona a Casaroli. Il ringraziamento e il paragone sono certamente sinceri ma vanno completati: come Casaroli non bastava a Wojtyla, così Parolin non basta a Bergoglio.

Luigi Accattoli
Vaticanista