I rischi delle metamorfosi
Dopo un anno di pandemia, ritorniamo a Camaldoli e riprendono i nostri incontri di cultura politica. Molto è cambiato da allora. Non solo per il numero esorbitante di morti, ma per gli stili di vita, le strutture sociali, sanitarie, economiche e persino politiche. La pandemia è divenuta parte delle nostre riflessioni.
A proseguire il discorso, avviato nel 2019, sui temi del totalitarismo affrontiamo in questa sessione il tema dei mutamenti profondi della democrazia. Metamorfosi della democrazia. Il termine metamorfosi, nella sua declinazione mitologica, evoca la trasformazione profonda di un essere o di un oggetto in un altro, quasi un cambio di natura interna ed esterna. Se dunque indichiamo questa cifra simbolica per la democrazia evochiamo il rischio reale di una sua trasformazione non necessariamente positiva, fino al punto di una sua modificazione strutturale, non semplicemente di un’evoluzione o di un cambiamento fisiologico.
La democrazia corre rischi. In sé e per sé, anzitutto. Per questo occorre ripartire analiticamente dal 1989. Dai cambiamenti strutturali allora prodotti dalla sconfitta dei regimi comunisti dell’Est europeo e dal crollo dell’Unione Sovietica, nonché dalle attese che allora si crearono e dalle successive disattese.
La fine del XX secolo è stata alquanto diversa (per non dire opposta) da quella che si produsse per il XIX secolo. Le due fine secolo – come ha scritto Mariuccia Salvati – furono essenzialmente divise dalla visione della storia.
Le due fine secolo
Il XIX si chiuse e il XX si aprì con una rottura prospettica, forzando lo sviluppo tecnologico e scientifico coniugato in senso sia rivoluzionario sia reazionario, in chiave antiborghese. Allora, si manifestò tragicamente «il trionfo della volontà su tutte le modalità della finitudine», quale tratto specifico e comune di tutti i totalitarismi, hitleriano e staliniano, «una uguale concezione del politico come campo dell’onnipotenza, una uguale e vertiginosa assenza di scrupoli verso il dato, fondata sullo stesso volontarismo, cioè sulla stessa convinzione filosofica e paranoica che nulla esiste indipendentemente dal conflitto delle volontà. Nei due casi, infine, a spingere al crimine è meno la ferocia che la radicalità, cioè la spinta a seguire, senza esitazioni o scappatoie, il proprio pensiero fino alle estreme conseguenze» (Alain Finkielkraut).
La filosofia, la letteratura, l’arte di fine Novecento sono andate in senso opposto, intrise di nostalgia. L’«uomo nuovo» novecentesco non è più una meta. Il dibattito si concentra semmai sulla cosiddetta «fine della storia», quella storia che secondo Francis Fukuyama, avendo un corso hegeliano predeterminato, si sarebbe conclusa una volta riconosciuta la vittoria dell’idea liberal-democratica e terminato lo scontro ideologico.
Non essere approdati a un nuovo disegno ordinativo sul piano internazionale, avere lasciato che fossero i mercati finanziari a governare la globalizzazione ha prodotto dapprima la crisi finanziaria del 2008 e poi l’allargamento dei mercati senza chiedere regole politiche d’ingresso per gli stati autoritari. Il che ha avuto come conseguenza un indebolimento politico delle democrazie e un rafforzamento economico degli stati autoritari. Il terrorismo islamista ha fatto il resto. Il disordine internazionale e la crisi dei meccanismi decisionali interni alle democrazie non solo hanno messo radicalmente in discussione i successi del 1989, ma non hanno risolto il tema della relazione tra ordine e disordine.
Nel segno opposto
Il combinato disposto tra crisi della politica, globalizzazione dei mercati e rivoluzione tecnologica ha fatto il resto. Ciò che emerge è che senza un nuovo ordine politico ispirato ai valori liberal-democratici, la globalizzazione e il multiculturalismo assumono il segno opposto a quello immaginato dalla sola filosofia dei mercati. Non è questione unicamente di nostalgie nazionalistiche del passato. Nel pensiero attuale, sia esso di destra o di sinistra, le visioni rivolte all’indietro si profilano secondo un’analisi che combina la politica dei mercati aperta al mondo e una xenofobia propagata dallo stato. Verso l’esterno si adotta un comportamento adattivo, mentre verso l’interno si sviluppa un’attitudine autoritaria.
Di qui l’idea di proseguire l’esame già avviato nel corso della settimana di studi del 2019 con alcuni approfondimenti. Abbiamo preso in considerazione quattro ambiti.
I nuovi scenari internazionali: le democrazie autoritarie sorte nell’Est Europa dopo il comunismo; la fine dell’egemonia americana e i nuovi comportamenti sociali nel tempo di Donald Trump; il caso cinese e il nuovo destino del Mediterraneo.
La democrazia e i cambiamenti delle società: con particolare attenzione agli sviluppi delle tecnologie e alla loro incidenza sugli stili di vita, nonché al lascito socio-sanitario della pandemia.
Il catalogo delle crisi della democrazia: un’analisi sul piano teorico delle trasformazioni delle forme istituzionali.
Il caso Europa: declinato sul piano economico, politico e religioso.

Gianfranco Brunelli
Direttore de “Il Regno”