«Il potere è il tema centrale del pensiero politico, non solo occidentale»: Pier Paolo Portinaro, docente di Scienza politica, Sociologia politica e Filosofia politica in Germania e Italia, ha così aperto il suo intervento sul tema «Figure storiche del potere. Dominio, violenza, democrazia», quale secondo relatore dell’incontro che Il Regno ha organizzato a Camaldoli su «La coscienza e il potere».
Il professore ha anzitutto ricordato che il pensiero politico ha sempre tre preoccupazioni: come costituire il potere, garanzia dell’ordine e della stabilità, e insieme come contenerlo, poiché, se il potere garantisce l’ordine, ha anche la capacità di rovesciarlo. Infine, regolarne i conflitti, che sorgono all’interno della società.
Il politico: tessitore non stratega
Nel tracciare una mappatura che dall’antico arriva ai giorni nostri, Portinaro ha ricordato che il lessico della politica è stato plasmato dall’antica Grecia, dove il concetto di potere era espresso attraverso due vocaboli: kratos e archè. Con kratos, i greci «intendevano una forza difficilmente contenibile, che travolge, fa violenza e impone la sua legge». Il termine archè invece rimandava a qualcosa che gode di consenso, che ha una legittimità. E l’uomo contemporaneo non si è così allontanato da quel modo di pensare: «di questo pensiero c’è una forma di ritorno anche nelle nostre società» ha annotato il professore.
Si può concepire il politico come stratega, che lavora a servizio del kratos, oppure come tessitore, colui che opera per rendere possibile la cooperazione e la convivenza. Lo stratega pensa che la città sia in funzione della guerra. Al contrario, il tessitore ritiene che la polis esista per generare la pace: egli «pratica quell’attività di tessitura che consente di qualificare eticamente con giustizia la convivenza».
Questa divisione, secondo Portinaro, «attraversa tutta la nostra storia e arriva fino a noi, che vediamo confrontarsi tali opposte visioni». Ad esempio, l’esperienza del populismo si ispira più all’idea dello stratega che a quella del tessitore, collocandosi sempre in opposizione a un altro gruppo, di cui è avversario, anzi nemico.
La democrazia costituzionale, un obiettivo esigente
Nel mondo romano, due grandi coppie concettuali hanno strutturato il mondo politico: dominium/imperium e potestas/autoritas. Nasce qui un concetto nuovo, quello di autorità, «il potere che mira alla realizzazione della giustizia, che ha un’autorizzazione etica ulteriore».
La riflessione di Portinaro prosegue sottolineando come dal lato opposto del potere ci sia il diritto. Così un ordinamento giuridico può essere “giusto”, ovvero corrispondente a criteri materiali di giustizia; essere “valido”, cioè posto in essere secondo una procedura stabilita; essere semplicemente “efficace”, secondo il principio della potenza.
Questi tre concetti strutturano il percorso che l’umanità occidentale ha fatto per giungere alla democrazia costituzionale, che è frutto di un criterio più esigente della semplice “validità”. Essa non vuole solo neutralizzare il kratos, che comunque continua a esserci – per esempio negli eserciti o nell’economia –, ma è fatta di tante magistrature, di tanti poteri in relazione tra loro. Con il suo ancoraggio all’idea della dignità umana e ai diritti fondamentali, la democrazia costituzionale si qualifica eticamente.
Talora il potere viene tuttavia confuso con la violenza. In realtà, i due termini sono contrapposti. Il potere legittimo è misura, si esercita con moderazione, non è immediato, è diventato istituzione duratura. I caratteri della violenza sono, viceversa, l’immediatezza e la discontinuità, la sproporzione rispetto allo scopo, la mancanza di misura, l’imprevedibilità.
Per questo, conclude il professor Portinaro, occorre sempre tenere in allerta l’etica della responsabilità, sollecitarla a restare desta: quando il kratos riemerge potentemente nelle guerre – il risultato di errori di valutazione da parte dei fronti contrapposti – ne derivano una serie di conseguenze indirette difficili da governare.

Gabriella Zucchi
Giornalista