Da Camadoli, Gabriella Zucchi e Daniela Sala

 

«Quel Dio di cui aveva sentito parlare, ma che, da gran tempo, non si curava di negare né di riconoscere, occupato soltanto a vivere come se non ci fosse, ora, in certi momenti d’abbattimento senza motivo, di terrore senza pericolo, gli pareva sentirlo gridar dentro di sé: Io sono però». L’inquieta notte dell’Innominato, dopo il sequestro di Lucia (Promessi sposi, cap. 10), dà avvio sabato 1° ottobre alla relazione del teologo moralista Aristide Fumagalli «La coscienza e il suo fondamento. L’uomo come l’essere della trascendenza», IV sessione dell’incontro che Il Regno ha organizzato a Camaldoli su «La coscienza e il potere».

Cattiva o buona, inquietante o rasserenante, la voce della coscienza risuona nell’essere umano. Ma a chi appartiene?

C’è difficoltà a inquadrare la coscienza morale, oggi in questione. Molte sono le interpretazioni che si accreditano: si parla di pluralismo debole, incapace di arrivare a una definizione univoca. Il processo di questa crisi parte dall’implosione della coscienza morale come tribunale interiore, funzione di giudice che determina la qualità delle azioni, al netto di ogni eteronomia. Successivamente il sapere sulla coscienza è esploso in tanti frammenti, interpretazioni parziali, che hanno avuto lungo corso. Si sono affacciati i maestri del sospetto, voci che nascostamente si sono introdotte nell’uomo: Karl Marx ritiene che la voce interiore sia in realtà quella del padrone, che influenza le masse dei lavoratori; Sigmund Freud individua la voce del super io, l’introiezione del comando delle autorità che ci hanno educati da piccoli; Charles Darwin introduce l’ipotesi che anche la coscienza possa essere un epifenomeno dell’istinto in rapporto con l’ambiente; Friedrich Nietzsche rintraccia nella coscienza la voce del gregge – e in questa valutazione gioca la sua esperienza del cristianesimo –, mentre la vita non può che essere vissuta dal superuomo.

L’eredità di questi maître à penser porta alla fine della coscienza, che non è né voce di Dio né voce dell’uomo: la coscienza è afona. Oggi la vita è affidata a scelte emotive, legate al trend economico, al potere politico.

 

La coscienza nella rivelazione cristiana

Occorre, quindi, affidarsi al mutismo della coscienza morale o è possibile ritrovare la sua inconfondibile voce? Fumagalli accompagna a guardare all’interpretazione della coscienza che attinge alla rivelazione cristiana, l’interpretazione cristologica già raccomandata nella Scrittura. È già l’apostolo Paolo a introdurre la syneidesis nella letteratura cristiana: occorre porre in riferimento l’uomo con Cristo e questa relazione è possibile attraverso lo Spirito Santo che Cristo promette e che ha come riferimento la donazione di sé, così come è espressa in Gv 15,32.

La dinamica dell’attrazione a Cristo sottrae gli uomini a un’esperienza maligna e li eleva. Dentro questo che è un vero e proprio “campo magnetico” gli uomini possono corrispondere o contrastare la vita dello Spirito. Non sono privi di condizionamenti, non è una libertà assoluta, a causa delle condizioni psicofisiche, socio culturali, etico-religiose. Ma lo Spirito suscita la libertà. L’eco non è la voce, è il rimbalzo di una voce, testimonia la libertà nei confronti dello Spirito,

Per il Vaticano II, «la coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (Gaudium et spes 16). La metafora del sacrario, tabernacolo, implica che si tratti dell’interiorità più profonda dell’uomo: nell’intimo abbiamo una presenza assolutamente trascendente (già lo diceva Agostino), l’intimità umana si intreccia con la trascendenza divina ed è un luogo di dialogo, non di un monologo. L’altra metafora di questa definizione è il risuonare: è l’idea dell’eco che Fumagalli trae dal card. Newman. Tale concezione relazionale illumina altri testi del magistero come la dichiarazione del Vaticano II Dignitatis humanae sulla libertà religiosa.

 

La coscienza morale si misura sull’amore

La coscienza morale è una conscientia amoris, testimonia il grado di amore o disamore che l’uomo vive nella propria esperienza. In questo senso, caratteristica della coscienza è l’universalità, poiché la libertà non viene mai meno neppure quando l’uomo è compromesso con il peccato. A partire dal fatto che ogni uomo è dotato di libertà, questi fa esperienza di una coscienza morale. Di qui può essere intrapreso il dialogo universale.

Ma come si fa a dare buona forma alla coscienza? In primo luogo occorre che la fonte originante l’eco sia chiara e nitida, sotto la guida dello Spirito. Poi che non intervengano interferenze da altre voci.

Lo Spirito è universalmente effuso, tant’è che il Catechismo della Chiesa cattolica conferma che quelli che non conoscono Dio, e pur cercano lo sinceramente, possono conseguire la salvezza eterna.

Esistono luoghi in cui lo Spirito è dato “con certificazione”: la Chiesa di Cristo è il luogo, ma non l’unico. Nella Chiesa il primo grande cespite di effusione dello Spirito è la Parola, la Scrittura annunciata all’interno della comunità, cui seguono la liturgia e la comunità ecclesiale. Così i cristiani diventano trasmissori dello Spirito: ogni cristiano che interagisce con gli altri diventa trasmissore dello Spirito.

Tra le relazioni essenziali c’è il magistero del papa e dei vescovi, poiché il magistero gerarchico ha il carisma di confermare. L’interazione tra il magistero e la coscienza personale non esclude il conflitto. Se l’indicazione è «fa’ ciò che ti è insegnato», la coscienza può avere un proprio giudizio diverso. In questi casi, la dottrina della Chiesa insegna che l’ultima parola del discernimento spetta alla coscienza, che non gode dell’autorità paradigmatica del magistero, cioè non può diventare guida per gli altri.

Ma il criterio di verifica della coscienza è soprattutto il tipo di vita che io vado a vivere, se la mia vita assomiglia sempre più all’amore di Cristo e aumenta l’amore per gli altri. Con san Tommaso possiamo dire: “se la gioia e la pace interiore aumentano”. Il criterio più oggettivo ce lo danno le opere di misericordia corporali e spirituali. Il capitolo 25 di Matteo, che descrive il giudizio universale risulta illuminante nel individuare il criterio dell’amore come decisivo per una adeguata valutazione della coscienza.

 

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