Da Camadoli, Guido Mocellin e Daniela Sala
30 settembre: la III sessione dell’Incontro organizzato da Il Regno a Camaldoli si è conclusa con l’intervento che il teologo Kurt Appel ha dedicato a «Annullare le coscienze. Menzogna, manipolazione, oppressione. Riflessioni a partire da G. Orwell».
In un’originale rilettura del famoso romanzo 1984, Appel si è focalizzato essenzialmente su un dato: «Il mondo distopico che Orwell disegna è un mondo dal quale», come per tanti aspetti accade anche nel nostro, «non si può scappare, dove si è assolutamente imprigionati». Ciò emerge con evidenza ripercorrendone, come ha fatto il teologo, molti luoghi, perlopiù trascurati da chi associa semplicemente il romanzo alla figura del Grande Fratello, e accostandoli al nostro presente.
Quando il potere è un fine
Non c’è via d’uscita, per il protagonista Winston Smith, né attraverso il diario personale che inizia a tenere, né attraverso la storia d’amore con Julia e tantomeno attraverso il rapporto filiale con il funzionario del Partito interno O’Brien. Non c’è via d’uscita, per gli abitanti di Oceania.
Non nella parola, perché il newspeak elimina ogni sfumatura o invenzione di linguaggio, filosofica, poetica, religiosa. Non nel piacere erotico. Non nella legge, perché il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è si sposta continuamente. Non nel passato, che cambia continuamente a seconda delle opportunità dettate dal partito: e se non c’è passato, non c’è neppure prospettiva di futuro. E neppure nel perdono, perché il perdono suppone un nuovo inizio, ma se non esiste passato non può esservi nessun nuovo inizio: quello di 1984 è un mondo imperdonabile, in cui sono tutti innocenti e tutti colpevoli. Non nel mondo interiore, nella coscienza, nella solitudine, dove non ci si può rifugiare. Non nella realtà, perché la realtà esiste solo nella «mente» del Partito. Non nella morte, che viene inflitta solo quando la morte o la vita non hanno più significato.
«Ogni tentativo di uscire deve fallire, è una trappola, perché le alternative sono quelle create da quelli da cui si vuole fuggire. Il partito organizza anche l’altro da sé stesso. Perfino l’«io non ho tradito Giulia» di Winston Smith diventa alla fine «io ho tradito Giulia». Il potere non è un mezzo, è un fine. L’obiettivo della persecuzione è la persecuzione, l’obiettivo della tortura è la tortura, l’obiettivo del potere è il potere.
La verità, nella fragilità
Allora, ammonisce Appel, stiamo attenti, nel nostro presente, alla menzogna che di dice: «Non esiste l’alternativa» uscita c’è sempre, dire che è menzogna. La verità è sempre vivere nella fragilità; sapere che c’è sempre un’alternativa, anche se adesso non la conosco. C’è oppressione, manipolazione, il sistema che divora sempre l’altro da sé stesso.
Immersi come siamo in un’atmosfera apocalittica e nichilistica che rischia di non lasciare più spazio, decisivo è che nella filosofia, nell’arte, nelle scienze si coltivi l’arte dell’uscita. E nella fede, naturalmente: rileggendo l’immagine della «porta» che Gesù usa per sé stesso non come una porta di entrata ma come una porta di uscita. Nel rapporto tra coscienza e verità ciò che è decisivo è trovarsi nella fragilità e trovare, anche nel perdono di questa fragilità, l’uscita del mondo. Più un mondo, un sistema è imperdonabile, meno vi è la possibilità di una coscienza.
Ma qui, ha concluso Appel, «c’è una sfida anche per la Chiesa: vuole ancora essere la totalità o vuole coltivare la fragilità, l’idea del perdono, l’arte di trovare uscite anche dove sembra che non ce ne siano?».
