Da Camaldoli, Guido Mocellin e Paolo Tomassone
L’Incontro organizzato da Il Regno a Camaldoli insieme alla comunità monastica è giunto alla sessione conclusiva, e il primo intervento è quello di Alberto Orioli, il quale, premettendo la sua «consapevolezza» di prendere la parola «solo» come «uomo curioso del suo presente e applicato a un giornale economico», ha in realtà offerto un quadro chiarissimo e completo di quanto oggi significhi «Il potere dei mercati e delle tecniche. Dai sistemi ideologici alla post-globalizzazione».
L’ansia del futuro
La parola chiave di tutto il suo racconto è stata «futuro». È «la grande ansia del futuro» quella cui mercato e tecnica (o tecnologia intesa come sua declinazione operativa), ormai fuse insieme, cercano di rispondere. Lo si vede bene nell’abito finanziario, dove la velocità, il nanosecondo, è il canone per bruciare un presente infinito in un mondo che ha smarrito la cosiddetta pazienza cognitiva. Così l’ansia del futuro, l’angoscia di ciò che sarà e deve essere previsto, indovinato, calcolato, «costruisce una realtà parallela che nei mercati fa presto a diventare la realtà effettiva. Quella appunto delle aspettative». Le aspettative sono ciò che conta: «la percezione del domani – o meglio del dopodomani che sarà più probabile – al fine di renderlo possibile».
La guerra in Ucraina come laboratorio
Guardando in questa prospettiva delle aspettative alla guerra in corso in Ucraina, Orioli l’ha descritta, con numerose esemplificazioni, come «il tragico laboratorio delle nuove tendenze dei mercati e del mondo in cerca di un nuovo equilibrio, finita la fase dell’entusiasmo verso la globalizzazione». Non solo in riferimento al prezzo del gas, il cui impazzimento «è frutto di scarsità di materia prima, di aspettative negative naturalmente, ma anche di una speculazione selvaggia e pianificata che ha reso il metano puro elemento finanziario». Ma considerando la guerra nel suo complesso come «l’esempio plastico di cosa sia la globalizzazione».
Il potere delle Big Tech
Un’altra importante sottolineatura di Orioli ha riguardato, in tema di «potere delle tecniche» il ruolo dell’informazione. «Le Big Tech», ha detto, «producono di fatto le informazioni, big data, da gestire e trasformare con algoritmi impostati per creare surplus comportamentali, vale a dire conoscenza utilizzabile a fini commerciali o predittivi. Il grande obiettivo è sempre uno solo: creare e anticipare i nuovi mercati dei comportamenti futuri. Ancora il futuro, insomma. Le aspettative». Ma dal momento che «i giganti del web valgono uno stato sovranazionale», si costituiscono come «una entità difficilmente catturabile dalle regole e che tutto sa di noi. E che di noi fa il proprio business». Esercitando «funzioni sovrane sostitutive».
La de-globalizzazione e i suoi rischi
Ancora a partire dal dato della guerra, Orioli ha descritto la de-globalizzazione in termini di «rischio che il mondo si rimpicciolisca, che i commerci viaggino su rotte sempre più rattrappite», con uno specifico focus sull’Italia e sul suo ruolo di «paese trasformatore, senza materie prime, ma con tanto genio per trasformarle in prodotti».
A livello mondiale, le diverse misure messe in campo dalle imprese – dalla polarizzazione di centri di produzione che si intrecciano sempre meno, all’aumento delle guerre commerciali, ai tentativi di far rientrare le produzioni a suo tempo delocalizzate, o di spostarle presso paesi amici – si possono leggere come proiezioni «dell’incertezza, dominante in questo nostro nuovo millennio».
Una materia prima da creare tutti insieme
Ed è anche «ciò che perseguono le nuove autarchie, interessate a ridisegnare il potere globale sfruttando la grande paura che sembra essere il vero sentimento unificante dell’umanità in questa contemporaneità smarrita e spaventata».
Il tema della paura, ha concluso Orioli, è purtroppo la discriminante principale, sia nelle scelte dell’homo oeconomicus, sia in quelle delle imprese, sia in quelle politiche. Ciò che manca, purtroppo, «è la più importante delle infrastrutture economiche: la fiducia». Ma questa materia prima «non si compra e non si vende. Non la può creare nemmeno l’algoritmo più sofisticato. La creiamo tutti, tutti insieme. A cominciare dalla politica. Ci vorrebbe qualcuno che ci dicesse: “Non abbiate paura”».
