Il 27 ottobre è stato presentato il Documento per la tappa continentale del Sinodo 2021-2024 sulla sinodalità. Conta circa 15mila parole ma l’abbiamo già letto da cima a fondo e ora proviamo a darvi una prima impressione, centrata su alcune proposte e alcune sfide che contiene. Appuntamento a fine marzo 2023.
Istruzioni per l’uso
Partiamo dalla fine. «Ogni assemblea continentale è chiamata a mettere in atto un processo di discernimento sul Documento per la tappa continentale (DTC) (…) e redigere un documento finale che ne dia conto» entro il 31 marzo 2023. «I documenti finali delle 7 assemblee continentali saranno utilizzati come base per la stesura dell’Instrumentum laboris, che sarà ultimato entro giugno».
Inoltre «la grande maggioranza delle conferenze episcopali (…) desidera che nella tappa continentale siano coinvolti i rappresentanti di tutto il popolo di Dio. Per questo si chiede che tutte le assemblee siano ecclesiali e non solo episcopali, assicurando che la loro composizione rappresenti in modo adeguato la varietà del popolo di Dio».
Infine, si chiede «ai vescovi d’incontrarsi tra di loro al termine delle assemblee continentali, per rileggere collegialmente l’esperienza sinodale vissuta a partire dal loro specifico carisma e ruolo. In particolare, i vescovi sono invitati a individuare modalità appropriate per svolgere il loro compito di convalida e approvazione del documento finale».
Assemblee ecclesiali, non solo episcopali
Quello che è stato presentato venerdì scorso è quindi un documento d’ascolto, si potrebbe dire, intermedio, che «raccoglie e restituisce alle Chiese locali» una sintesi complessiva del primo anno di lavoro. Ora è affidato nuovamente ai vescovi, che riapriranno il processo d’ascolto a livello diocesano sulla base di quanto emerso anche nelle altre Chiese; ne dovranno fare una nuova sintesi nazionale che infine confluirà in un’Assemblea continentale la quale produrrà il documento finale.
Non è banale l’annotazione su chi parteciperà all’assemblea ecclesiale: perché la domanda su come si concretizza la sinodalità negli organismi ecclesiali ritorna più volte nel testo e, anzi, c’è chi ipotizza la presenza a livello di conferenze episcopali di laici, religiosi e religiose (cf. n. 75, con tanto di citazione del contributo della Segreteria di stato).
Il testo è frutto del lavoro che un gruppo di esperti proveniente da tutto il mondo ha messo a punto con una modalità molto precisa: prima di andare a Frascati, ciascun partecipante aveva il compito di leggere 3 sintesi e ogni sintesi è stata letta e annotata da 3 persone diverse. Praticamente impossibile quindi ignorare i temi emersi.
Il popolo di Dio chiede un profondo rinnovamento
Ma, come ha dichiarato nella conferenza stampa del 27 ottobre il card. Mario Grech, si è avuta la «sorpresa» d’«ascoltare come, pur nella differenza di sensibilità, il popolo santo di Dio converga nel chiedere un profondo rinnovamento della Chiesa».
Ovviamente vi sono divergenze sul come realizzare tale «riforma» (cf. nn. 101s), ma c’è convergenza sul fatto che vi siano delle priorità, individuate in 5 tematiche: l’«inclusione radicale» nella comunione tra figli del medesimo Padre – sottolineata dall’icona biblica dell’allargamento della propria tenda (cf. Is 54); una Chiesa «in missione»; uno stile improntato alla corresponsabilità «derivante dalla comune dignità battesimale»; il coniugare partecipazione e «spiritualità»; la «liturgia», in particolare quella eucaristica, «fonte e culmine della vita cristiana».
Per quanto riguarda l’aspetto della missione, c’è chi rileva che spesso le comunità sono ripiegate al loro interno e bloccate in meccanismi che da un lato vedono «resistenze» da parte del clero e dall’altro «passività» da parte del laicato; o che «la separazione tra presbiteri e il resto del popolo di Dio» scava un solco non facilmente colmabile.
C’è chi è poco ascoltato
Un altro fattore che blocca il cammino di una Chiesa «in uscita» «è rappresentato dallo scandalo degli abusi compiuti da membri del clero o da persone con un incarico ecclesiale», anche se dal testo non emerge che questo sia considerato il perno su cui svolgere la riflessione, come ad esempio ha fatto il Cammino sinodale tedesco.
Interessante che il n. 21 rilevi la necessità che il processo sinodale tocchi anche i cristiani che vivono la guerre o situazioni permanenti di conflitto: e una Chiesa realmente universale non può non sottolineare che sono davvero molto numerose.
Sotto il tema della «comune dignità battesimale» vanno poi i numeri dedicati ad alcune categorie la cui voce è poco ascoltata nella Chiesa: dai più poveri ed emarginati, ai giovani, ai disabili, ai «divorziati risposati, i genitori single, le persone che vivono in un matrimonio poligamico, le persone LGBTQ» (n. 39; cf. 51), anche se poi vi è molta incertezza su come sia possibile l’inclusione, specialmente di quest’ultimo gruppo.
I laici, ovvero le donne
Sicuramente la categoria che fa la parte del leone tra gli esclusi è quella delle donne, a cui sono dedicati i nn. 60-65: un tema sentito a ogni latitudine, anche se declinato in maniera diversa: non è la stessa cosa chiedere il sacerdozio per le donne (cf. n. 51) e un ruolo di pari dignità per le religiose spesso considerate «manodopera a basso costo» (n. 63).
Inoltre le donne sono la quota più consistente del laicato e di quello impegnato nella vita quotidiana delle Chiese. Qui la domanda più generale è ancora una volta il riconoscimento e la promozione della cosiddetta «Chiesa tutta ministeriale» che da tanto si predica e da altrettanto fatica a realizzarsi…
Interessante poi il paragrafo 3.4 dedicato a «La sinodalità prende forma», cioè a quegli interrogativi o proposte di cui si diceva in apertura: come consolidare nelle strutture ecclesiali, in diversi contesti culturali, nella stessa curia romana, nelle conferenze episcopali e giù giù fino ai consigli pastorali parrocchiali la partecipazione dei membri del popolo di Dio che non sono chierici? Possono rimanere sempre e solo strutture consultive e non decisionali?
Nella liturgia lo stile sinodale
Meno sviluppato è il punto 4 sulla spiritualità, anche se all’inizio del testo si rileva che il metodo delle «conversazioni spirituali» (n. 17) utilizzato nella fase d’ascolto è stato fruttuoso e – afferma il n. 85 – è la migliore disposizione con la quale «affrontare le tensioni che emergono dall’incontro tra le diversità».
Infine la liturgia, anch’essa reformanda. Oltre all’annosa questione del «rapporto con i riti preconciliari», che – specie negli Stati Uniti – è «motivo di confronto ideologico, frattura o divisione» (n. 92), una contraddizione in termini dal momento che la celebrazione eucaristica che è «“sorgente e vertice” del dinamismo sinodale» (n. 89); oltre alla questione dell’«inculturazione della fede» (n. 92), si tratta di ripensare «uno stile sinodale di celebrazione liturgica che permetta la partecipazione attiva di tutti i fedeli, nell’accoglienza di tutte le differenze, nella valorizzazione di tutti i ministeri e nel riconoscimento di tutti i carismi» (n. 91).
Com’è facile intuire non è sempre così: e piovono critiche su riti troppo centrati sul celebrante, dove i partecipanti sono passivi; sulla qualità delle omelie che spesso lascia a desiderare… più in generale si registra uno scollamento tra celebrazione liturgica e forme di condivisione dialogica e di convivialità fraterna.
Appuntamento al 31 marzo 2023
Ora la parola passa alle diocesi, poi alle conferenze episcopali e poi ai 7 organismi continentali: Europa (CCEE), America Latina e Caraibi (CELAM), Africa e Madagascar (SECAM), Asia (FABC) e Oceania (FCBCO), Nord America (USA e Canada) e Medio Oriente. Per arrivare con un testo a fine marzo, c’è solo da correre!

Maria Elisabetta Gandolfi
Caporedattrice Attualità per “Il Regno”