Violenze sui minori in Italia: il bicchiere mezzo pieno

Il 1o Report della CEI alla vigilia della Giornata mondiale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi nella Chiesa ha costituito un primo passo avanti, che sta gettando le basi a livello di comunità locali. Sono stati 613 i fascicoli italiani trattati dalla Congregazione per la dottrina della fede negli ultimi 20 anni

C’erano numerosi occhi puntati sulla Conferenza stampa (trasmessa qui) che era stata indetta ieri, 17 novembre, dalla CEI per presentare il 1o Report sull’attività di prevenzione e formazione condotta dai Servizi diocesani (interdiocesani e regionali) per la tutela dei minori e di ascolto di vittime effettuato dai Centri d’ascolto.

Una sorta di mappatura di quello che va maturando nei diversi territori della Penisola, avviato a partire dal 2019. E confermato a maggio dall’Assemblea dei vescovi nelle famose 5 linee d’azione (potenziare la rete dei referenti; aumentare i Centri d’ascolto; redigere un Report sui Servizi diocesani; commissionare un secondo Report in collaborazione con la Congregazione per la dottrina della fede; partecipazione all’Osservatorio nazionale per il contrasto della pedofilia e della pornografia infantile), a cui ne è stata poi aggiunta una sesta, la collaborazione con la Pontificia commissione per la protezione dei minori, stipulata con la firma di un protocollo congiunto lo scorso 28 ottobre.

 

Ogni diocesi ha il suo Servizio

Non mi dilungo sul Report. che è pubblicato integralmente qui, frutto della collaborazione con ricercatori della Cattolica (Piacenza).

Riporto solo alcuni aspetti più significativi: a meraviglia degli stessi vescovi – così si sono espressi mons. Giuseppe Baturi, segretario della CEI, e mons. Lorenzo Ghizzoni, vescovo di Ravenna e responsabile del Servizio nazionale per la protezione dei minori – non c’è stato particolare bisogno d’insistere perché ogni diocesi istituisse il proprio Servizio, che ha in capo l’attività di formazione intraecclesiale per operatori e organismi che si dedicano alla pastorale giovanile e quella più generale della sensibilizzazione: praticamente (quasi) tutte le 226 diocesi hanno istituito l’organismo e il 73% ha risposto alla rilevazione, consentendo di calcolare che tra incontri e formazione essi hanno incrociato negli ultimi due anni (COVID compreso) 20.000 persone.

 

Domande sui Centri d’ascolto

Meno incoraggianti i dati sui Centri d’ascolto, gli enti preposti alla raccolta sia delle denunce sia delle informazioni concrete da parte delle persone in merito a eventuali casi di violenza di cui siano venute a conoscenza. La rilevazione ne ha contati 90, che rappresentano il 40% delle diocesi italiane (a maggio la CEI aveva detto che il 70% delle diocesi ne aveva uno).

Il questionario chiedeva anche quale tipo di risposta si era data ai colpevoli, ma questo tipo di rilevazione non è in grado di mappare come ogni vicenda si è poi conclusa.

Poche le denunce raccolte dai Centri censiti in due anni: in media quasi 1 per ciascun Centro, visto che il totale è 86; e, altro dato poco incoraggiate, il fatto che questo tipo di ente è direttamente correlato alla grandezza della diocesi… Dove le diocesi sono piccole a chi si rivolgeranno le vittime? E poi quanto effettivamente nelle Chiese locali si sa dell’esistenza e della funzione dei Centri di ascolto?

 

Intanto, un inizio

Però, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, è positivo il fatto che la Chiesa in Italia, fanalino di coda nella lotta contro questo crimine, si sia (finalmente) incamminata in un percorso di cura e prevenzione, per quanto possa essere, strada facendo, corretto e integrato: è stata l’ammissione onesta e sincera di Baturi e Ghizzoni.

Che hanno anche aggiunto che un terreno culturale poco sensibile è forse anche uno dei motivi del ritardo complessivo della società italiana a chiedere un’azione decisa e coerente contro la pedofilia e la violenza sui minori. Occorrerà dissodare capilarmente questo terreno per far sì che anche le vittime si sentano meno sole e isolate e possano quindi fare i passi che ritengono necessari: anche quelli della denuncia diretta al vescovo o, saltando a piè pari l’istituzione ecclesiastica, all’autorità giudiziaria.

Poco sulle difensive anche di fronte alle domande incalzanti dei cronisti, ma preciso sul fronte giuridico Baturi, e accorato sul fronte della necessità di «metterci la faccia con le vittime» Ghizzoni, hanno condotto con onore una conferenza stampa non facile. Come qualcuno ha notato, forse sarebbe stata significativa a questa première anche la presenza del cardinale presidente.

 

Per la prima volta

Ma pur partendo in ritardo, come abbiamo detto, l’indagine più importante e che potrebbe dare risposta ai tanti che, giustamente, chiedono di fare i conti col passato è quella che, annunciata a maggio, è stata presentata nel dettaglio da Baturi.

Per la prima volta una conferenza episcopale nazionale (o un soggetto terzo da essa scelto) avrà modo di studiare i fascicoli relativi ai delicta compiuti sul proprio territorio. Poiché è dal 2000 che è stata formalizzata la norma per la quale una denuncia in ambito ecclesiastico passa dalla diocesi (dopo l’indagine previa) alla Congregazione per la dottrina della fede, la CEI ha quindi deciso d’indagare gli ultimi 20 anni.

L’analisi deve ancora iniziare e i dati saranno resi noti forse nel 2023, ma il segretario della CEI si è sbilanciato nel rivelare che alla Congregazione (oggi Dicastero) giacciono 613 fascicoli relativi all’Italia; il che vorrebbe dire che, poiché per ogni accusato c’è ben più di una vittima, si potrebbero avere dati in linea con altri contesti, naturalmente solo relativi alla giustizia canonica. Perché il destino e i percorsi della giustizia civile non saranno oggetto d’indagine.

 

Una presenza massicciamente femminile

Questo tipo di relazione tra Congregazione e CEI apre anche il capitolo della segretezza che sinora ha impedito alle vittime di venire a conoscenza del destino dei propri carnefici, ovvero alle diocesi di conoscere la fedina penale ecclesiastica del personale che transita da una sede all’altra: il caso dell’ex arcivescovo di Dili, che ancora era nel ministero pur essendo colpito da sanzioni da almeno 3 anni, o quello che ha scosso la Conferenza episcopale francese nell’Assemblea di novembre  sono esempi eclatanti che dovrebbero non ripetersi.

Certo la collaborazione tra i due livelli, universale e locale, dovrebbe essere effettiva: chi la può controllare? La Pontificia commissione per la protezione dei minori e il suo «nuovo ruolo» in curia?

Un’ultima annotazione e una domanda. Le équipe dei Servizi diocesani, nonostante il referente sia nella maggioranza dei casi un chierico, e soprattutto quelle dei Centri d’ascolto sono formate da un numero preponderante e numericamente significativo di professioniste donne.

Chiaramente non si farà nessuna riforma mettendo «delle donne» qui o altrove come «quota-rosa». Ma se il processo d’ascolto – lo andiamo ripetendo come un mantra per il Sinodo – sarà reale, sarà interessante notare e studiare come da questa «finestra» passeranno input e soprattutto visioni di Chiesa diverse che sinora sono state lasciate a forza fuori dalla porta…

Maria Elisabetta Gandolfi

Maria Elisabetta Gandolfi

Caporedattrice Attualità per “Il Regno”

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