In una lettera aperta a papa Francesco il teologo dogmatico Peter Hünermann afferma che il futuro della Chiesa dipende dalla sinodalità e da come la Chiesa interpreterà il suo ruolo nella crisi causata dalle violenze e dagli abusi sui minori. Sul tema, cf. anche il testo di M. Faggioli e H. Zollner, pubblicato sull’ultimo numero del Regno.
Roma-Germania, nodi teologici
Il duro confronto che ha visto protagonisti a Roma i 62 vescovi tedeschi in visita ad limina la settimana scorsa ha messo in luce alcuni snodi teologici. Ne abbiamo parlato qui. Sul sito della Conferenza episcopale tedesca, oltre a una pagina in italiano (e inglese e spagnolo) sul Cammino sinodale https://www.synodalerweg.de/italiano , si trovano anche i testi degli interventi da parte tedesca a Roma https://www.dbk.de/presse/aktuelles/meldung/bischof-baetzing-zieht-bilanz-zum-ad-limina-besuch-in-rom . Da segnalare che su Vatican News è apparsa il 24 novembre una sintesi in tedesco delle relazioni dei cardinali Ouellet (Dicastero per i vescovi) e Ladaria (Dicastero per la dottrina della fede) svolte all’incontro a porte chiuse tra vescovi (non vi hanno potuto accedere i laici che in forma permanente collaborano con la Conferenza episcopale) e alcuni capi dicastero della curia.
Insomma, i nodi (Chiese locali – conferenze episcopali – Chiesa universale – curia romana) sono venuti al pettine.
Proprio per questo è utile proporre alcuni passi della Lettera aperta che il teologo novantatreenne Peter Hünermann ha pubblicato sul numero di novembre della rivista Herder Korrespondenz.
Se si teme uno scisma
«Permettetemi oggi d’esercitare la mia funzione di teologo in un dialogo pubblico», secondo il dettato del testo della Commissione teologica internazionale su Teologia oggi: prospettive, principi e criteri del 2012: è l’incipit della lettera, scandita dalla triade «vedere – giudicare – agire».
Hünermann parte dalla nota della Sala stampa della Santa Sede del 22 luglio 2022 sul Cammino sinodale in Germania, dove si parla di un «necessario chiarimento» quanto alla salvaguardia della «libertà del popolo di Dio» e all’«esercizio del ministero episcopale». Entrambi – afferma il teologo – «sono fatti centrali dell’ecclesiologia e appartengono alla fede della Chiesa». Eppure, proprio su questi temi centrali, si teme uno «scisma» se il Cammino sinodale tedesco continua il suo percorso. «Come si è arrivati a questo giudizio?» – si chiede.
Quanto al vedere
Nella costituzione apostolica Episcopalis communio (15.9.2018), il papa prevede d’approfondire e sviluppare ulteriormente il Sinodo dei vescovi annunciato durante il concilio Vaticano II. Esso «esprime la dimensione sovradiocesana del munus episcopale, [che ] si esercita in modo solenne nella veneranda istituzione del concilio ecumenico e si esprime pure nell’azione congiunta dei vescovi sparsi su tutta la terra, azione che sia indetta o liberamente recepita dal romano pontefice». Spetta poi al papa, «secondo i bisogni del popolo di Dio, individuare e promuovere le forme attraverso le quali il collegio episcopale possa esercitare la propria autorità sulla Chiesa universale» (n. 2). Nei nn. 5 e 6 il papa parla «a lungo del processo di consultazione del popolo di Dio, dell’ascolto del sensus fidelium, perché il pontefice e i vescovi sono sia insegnanti sia discepoli».
Allora – si chiede Hünermann – dove sta il problema col Cammino sinodale tedesco?
Le violenze e gli abusi
«Secondo la mia valutazione teologica della situazione, la Conferenza episcopale tedesca si sarebbe macchiata di una grave colpa se, dopo la pubblicazione dello studio del MHG» del 2018, «non avesse immediatamente ammesso gli abusi, invitato al pentimento e annunciato un serio rinnovamento (…) Così, in tempi molto brevi, a grande maggioranza nel marzo 2019 si è ideato e attuato il Cammino sinodale in terra tedesca», giusto un mese dopo il vertice vaticano sulle violenze, che, secondo il teologo, «purtroppo non ha prodotto alcun risultato concreto».
Il Cammino sinodale tedesco si propone di essere «luogo di discussione per un dibattito strutturato all’interno della Chiesa cattolica in Germania». E non è solo un «luogo di dibattito» ma ben di più: un «processo ecclesiale». Un processo pubblico «di pentimento e riconciliazione tra la Conferenza episcopale e il popolo di Dio in Germania» che si è sentito tradito e abbandonato.
Quindi c’è «una conferenza episcopale, condannata da un’inchiesta pubblica per abuso di ufficio che ammette la sua colpa e afferma la sua disponibilità al pentimento. È colpevole davanti a Dio, è colpevole davanti al popolo di Dio. Chi la può assolvere?».
Sul giudicare
«Si tratta di un peccato strutturale all’interno del quale è stata commessa una numerosa serie di peccati personali (…) I peccati strutturali riguardano le istituzioni». Si verificano quando le istituzioni deragliano dal proprio compito».
«Qualcosa di simile è accaduto nella Chiesa cattolica, in Germania e nel mondo. Negli anni Novanta, i contorni di questo peccato strutturale sono diventati evidenti in casi come quello dell’arcivescovo Hermann Groër di Vienna, nella prassi attuata dall’arcivescovo di Boston, il card. Bernard Law», naturalmente distinguendo tra «vescovi che sono essi stessi autori di abusi e vescovi che hanno coperto gli abusi in varie forme».
Non si può pensare che questo valga solo per la Germania. «Questo è un problema di tutta la Chiesa, in tutti i continenti. Ovunque ci sono stati e ci sono autori di abusi tra il clero, tra il 5 e il 10% (…) ovunque accompagnati da coperture da parte dei vescovi. Una pratica arrivata fino ai vertici della Curia romana».
Una doppia azione
E qui l’anziano teologo si toglie qualche sassolino, citando il caso del card. Schönborn che, avendo pubblicamente criticato l’espressione «chiacchiericcio» usata nel 2010 da Angelo Sodano, allora decano del collegio cardinalizio, per riferirsi ai misfatti del card. Groër, fu costretto da Benedetto XVI alle pubbliche scuse, perché solo il papa può rimproverare pubblicamente un cardinale.
Occorre quindi una doppia azione – scrive Hünermann –. Da un lato i colpevoli «devono essere trattati come tali». Ma dall’altro decenni d’insabbiamenti volti a «preservare la “reputazione” della Chiesa invece d’aiutare le vittime» richiedono un’azione diversa.
«È necessaria una pubblica ammissione di colpa da parte della Chiesa cattolica romana, rappresentata dalle sue autorità: nei confronti di Dio, di Gesù Cristo, del Signore della Chiesa, del popolo di Dio; nei confronti delle vittime di abusi, delle autorità civili, per il mancato rispetto della legge civile. E una confessione pubblica di colpevolezza per un peccato strutturale e istituzionale contro Dio, Gesù Cristo e il popolo di Dio» deve essere accompagnata da un rinnovamento «radicato nel pentimento, che ha la sua espressione concreta nella progettazione e nelle misure di una prassi diversa».
Il punto di partenza del cammino
Così è per questo che «la Chiesa in Germania ha intrapreso il cammino sinodale». E non c’è dubbio che esso rifletta la situazione tedesca, una cosa «inevitabile nel caso di peccati strutturali. Se si avviasse un processo analogo in Italia, ciò si vedrebbe molto in fretta» (ogni riferimento…).
Ma, ecco il punto: alla luce della Episcopalis communio e della sua Lettera al popolo di Dio in Germania sorge una «domanda teologica»: si può fare «un passo verso il riconoscimento e la concretizzazione della sinodalità senza riconoscere la crisi degli abusi e affrontarne la soluzione? La Segreteria di stato sembra volere che la Chiesa tedesca faccia proprio questo».
Per il teologo questo invece «non è possibile». Perché «porterebbe a una contraddizione interna: se il processo sinodale (…) riguarda l’analisi e l’approfondimento della natura della Chiesa, non è possibile prescindere dallo stato attuale come punto di partenza: la distanza dal proprio essere attraverso la vicenda dell’abuso, che dobbiamo confessare davanti a Dio e al popolo di Dio, e la conversione costituiscono il punto di partenza del cammino verso la sinodalità».
Quanto all’agire
Forse altre conferenze episcopali non sono pronte, anche se «il riconoscimento delle vittime» delle violenze e degli abusi e alcune forme di risarcimento sono avvenute in diversi paesi, ma non in tutti, anche per il diverso statuto giuridico delle conferenze episcopali nazionali.
«La teologia ha il compito di presentare la ratio fidei. Ha una funzione di servizio nei confronti della leadership della Chiesa e del popolo di Dio. Può essere efficace solo attraverso la sua parola. In questo senso è povera e impotente. Ma in questo servizio risiede allo stesso tempo la sua responsabilità e la sua forza».
La lunga lettera si conclude con un «suggerimento concreto» che riguarda il Documento per la tappa sinodale, che al momento della stesura del testo non era noto. Hünermann afferma che esso costituisce un’ulteriore occasione per «sottolineare il problema degli abusi come punto di partenza concreto» per l’auspicata realizzazione della sinodalità. «Ciò che a prima vista può apparire ad alcuni vescovi come una complicazione per arrivare a una reale sinodalità si rivelerà in realtà un guadagno per una soluzione solida e duratura (…) Il futuro della Chiesa dipende da questo».

Maria Elisabetta Gandolfi
Caporedattrice attualità per “Il Regno”