Quando la Russia pianificò la «grande fame» dell’Ucraina

Nella lettera al popolo dell’Ucraina del 24 novembre e nell’udienza generale del 23 novembre, papa Francesco ha ricordato la tragedia dell’Holodomor, uno dei più grandi orrori vissuti dal paese che oggi si trova attaccato dalla Russia.

«Holodomor», «Genocidio» o «Olocausto ucraino» sono i nomi attribuiti alla grande carestia che si abbatté sull’Ucraina negli anni 1932 e 1933, e che fu dovuta allo sfruttamento pianificato dal regime sovietico, con la collettivizzazione delle proprietà agricole e la confisca del bestiame e dei prodotti della terra.

Fu causa della morte di oltre tre milioni di ucraini, la metà dei quali giovani fino ai 17 anni, ed è stato riconosciuto dal Parlamento europeo nel 2008 come uno «spaventoso crimine contro il popolo ucraino e contro l’umanità», pianificato «con cinismo e crudeltà dal regime di Stalin al fine d’imporre la politica sovietica di collettivizzazione dell’agricoltura contro la volontà della popolazione rurale in Ucraina».

Nell’archivio de Il Regno – Documenti ritroviamo un saggio del 2017 in cui lo storico e teologo ucraino Augustyn Babiak mette in luce in particolare il ruolo svolto dal metropolita greco-cattolico Andrej Szeptyckyj nel denunciare al mondo la tragedia e nel favorire gli aiuti internazionali.

Il testo è stato proposto con il titolo «La Chiesa greco-cattolica e l’Holodomor (1932-1933)» in occasione della conferenza «85° anniversario del genocidio ucraino, 1932-1933. Ricordare, imparare, prevenire», organizzata dal Consolato generale ucraino e dalla Chiesa greco-cattolica ucraina in Italia, a Milano, dal 24 al 26 novembre 2017.

Eccone le pagine iniziali.

La tormentata storia ucraina

L’Ucraina ha una storia tormentata. Nel 1922, fallito il tentativo d’instaurazione di uno stato indipendente, dopo il crollo degli imperi russo e austro-ungarico, la maggior parte dei suoi territori entrò nell’orbita sovietica, e nei decenni successivi ne subì il regime repressivo, che univa l’odio antireligioso alla volontà di sradicamento del mai sopito sentimento nazionale.

Morto Lenin, nel 1924 si insediò Stalin, che progressivamente concentrò nelle proprie mani tutto il potere e avviò un processo di radicale trasformazione delle strutture dello stato attraverso i cosiddetti «piani quinquennali». Era un programma di sperimentazione socio-economica, mai in precedenza attuato, attraverso il quale con uno sviluppo accelerato, affidato esclusivamente all’industrializzazione con la contestuale eliminazione dell’iniziativa privata, lo stato diventava la locomotiva trainante del progresso.

Esso prevedeva il trasferimento della ricchezza prodotta dall’agricoltura all’industria pesante, primo passo per fare di un paese povero e arretrato una grande potenza. A questo scopo, e in quello che era conosciuto come il «granaio d’Europa», espropriò forzatamente le terre e le fattorie dei piccoli proprietari e al loro posto creò nuove aziende collettive di coltivatori controllate dallo stato. Pur incontrando la tenace reazione delle popolazioni rurali, fiere custodi di un patrimonio identitario che trovava nella Chiesa un solido punto di riferimento, Stalin procedette all’eliminazione sistematicamente pianificata dell’identità ucraina, perpetrando una soppressione che ha tutte le caratteristiche di un genocidio, assimilabile all’Olocausto degli ebrei.

 

La tragedia dell’Holodomor

È la tragedia che conosciamo come l’Holodomor. Gli ucraini nell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS) divennero così ostaggi e principali vittime del crudele esperimento attuato dai funzionari bolscevichi guidati da Stalin, perché fra i contadini ucraini questa pratica non poteva trovare accoglienza, gelosi com’erano della propria indipendenza e del culto della proprietà.

Fin dagli anni della sua attività come rappresentante dell’Ucraina al Parlamento di Vienna, la questione sociale e i rapporti tra la Chiesa greco-cattolica ucraina e il socialismo furono motivo di preoccupazione costante nell’azione pastorale del metropolita Andrej Szeptyckyj (1865-1944), figura carismatica e guida spirituale del popolo ucraino della Galizia. Egli era cosciente che la Rivoluzione d’ottobre era una minaccia non solo per la Chiesa, ma anche per la società intera, in quanto imponeva un modello economico-sociale che soffocava la libertà e l’autonomia delle nazioni.

Contrariamente infatti alle dichiarazioni programmatiche, nella realtà i bolscevichi avevano permesso all’aborrito capitalismo di affermarsi nella sua «forma più estrema e ingiusta», cioè come assolutismo statale, contro il quale il metropolita non cessò di protestare, convinto com’era che tale sistema sarebbe stato disastroso per le popolazioni delle repubbliche gravitanti nell’orbita sovietica: «Sulla carta – egli scrive – esse risultano apparentemente libere, ma nella realtà gemono sotto il giogo insanguinato di Mosca». Attraverso il possesso e il controllo dei mezzi di produzione e il lavoro coatto, attraverso una pesante imposizione fiscale e le requisizioni delle piccole imprese private, lo stato «succhiava il sangue delle persone».

 

La denuncia del metropolita

La sua invadenza anche nell’agricoltura, con l’introduzione delle fattorie collettive, aveva portato al fallimento la piccola economia a conduzione familiare, creando una situazione tale per cui i contadini, espropriati della loro principale fonte di sostentamento e costretti a lavorare a vantaggio esclusivo del governo, erano stati portati alla disperazione e alla morte di fame.

Il 14 luglio 1933, quando nell’archieparchia di Lviv le notizie del dramma che si stava consumando a 800 km di distanza in Ucraina risultarono confermate, il metropolita Szeptyckyj con i suoi vescovi, rotti gli indugi e lasciata da parte ogni forma di prudenza, sottoscrisse una coraggiosa denuncia, in cui condannava senza mezzi termini il comunismo sovietico come un «sistema cannibalesco di capitalismo di stato». In quella drammatica situazione egli si affidava alle mani di Dio: «L’Ucraina sta lottando con la morte. La gente sta morendo di fame. Il sistema del capitalismo di stato, che poggia sull’ingiustizia, sull’inganno e sull’ateismo, ha portato il paese, una volta così ricco, alla completa rovina. Tre anni fa il papa Pio XI ha alzato un’energica protesta sulle conseguenze che il bolscevismo, contrario a Dio e alla natura umana, porta con sé. Insieme a tutto il mondo cattolico, aderiamo alla protesta del santo padre».

 

«La vera faccia del bolscevismo»

Oggi, proseguiva il metropolita, «vediamo la vera faccia del bolscevismo in questa spaventosa situazione, che sta peggiorando giorno dopo giorno. Nemici di Dio e dell’umanità, hanno negato la religione, fondamento dell’ordine sociale; hanno abolito la libertà, il dono più grande concesso all’uomo; di contadini liberi hanno fatto schiavi e nella loro stupidità ora non trovano i mezzi per sfamarli, loro che hanno lavorato con il sudore della fronte. Non ci sono parole di fronte a questi crimini, il sangue gela nelle vene. Anche se impotenti a portare un aiuto materiale ai nostri fratelli morenti, facciamo appello ai fedeli della nostra Chiesa, li supplichiamo perché li aiutino con la preghiera, con il digiuno, con sacrifici, con altre buone opere di carità cristiana, con il lutto nazionale, impetrando così l’aiuto del cielo, perché sulla terra non c’è speranza di ottenere un aiuto dagli uomini».

Il metropolita e la Chiesa greco-cattolica, da sempre vicina al suo popolo, sapevano del piano di Stalin di annientare l’Ucraina e di soffocare tutte le sue velleità d’indipendenza. Ma quando l’Holodomor dilagò in tutta la sua efferatezza si ritrovarono inermi a contrastare un avversario diabolico.

 

Le Chiese paralizzate e soffocate

Fedele alla sua storia di vicinanza al popolo, la Chiesa greco-cattolica dovette sottostare a una serie di oggettive limitazioni alla sua azione. Pur essendo la struttura religiosa più organizzata, essa era poco rappresentata nelle sedi del paese, confinata com’era nella parte occidentale dell’Ucraina, conosciuta come Galizia. La Chiesa ortodossa russa era paralizzata e perseguitata e, condizionata dal regime, era incapace di elaborare interventi di sostegno: i suoi sacerdoti furono imprigionati nei gulag e i monaci incarcerati a Slovki. Negli anni Trenta la Chiesa ortodossa autocefala ucraina e la Chiesa greco-cattolica russa furono liquidate e la Chiesa cattolica latina ridotta nella sua capacità di azione. Anche la Chiesa cattolica latina aveva poche possibilità di intervento, anche se la Santa Sede aveva avviato una campagna di reazione e di denuncia.

La Chiesa greco-cattolica ucraina era soffocata dalla pervasiva e perfida propaganda bolscevica, che negava ogni evidenza; non aveva libertà di manovra, a differenza della Chiesa della diaspora, libera, dotata di mezzi e animata da persone culturalmente più preparate. Ma anch’essa, alla prova dei fatti, non poteva intervenire negli affari interni dell’Ucraina, e mancandole un valido interlocutore risultava complicato, quasi impossibile, organizzare una logistica per gli aiuti da destinare a un territorio distante centinaia di chilometri, nel quale, secondo la propaganda di regime, non era successo né stava succedendo nulla. Aiuti provenienti dalla comunità internazionale e in particolare dalle efficienti Croce rossa austriaca e tedesca furono bloccati, rifiutati o requisiti, mentre la gente moriva di fame.

 

La tragedia denunciata al mondo

Anche i circoli politici e umanitari degli ucraini residenti in Francia, in Germania e in Cecoslovacchia si attivarono per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulla tragedia che si stava consumando in patria, coperta dalla propaganda per nascondere i crimini che venivano perpetrati.

Grazie all’intervento del Comitato d’aiuto ucraino di Lviv, il metropolita riuscì a far pervenire, in modo clandestino, pacchi viveri, che risultarono però drammaticamente insufficienti.

L’impegno del metropolita Andrea Szeptyckyj fu quello di denunciare al mondo la tragedia. Era perfettamente consapevole che i fatti che denunciava sarebbero stati contestati dai suoi oppositori, tuttavia questo non lo distolse dal suo intento: «Se tu ti rifiuti di credere a me, io sento che mi stai facendo male», scriverà accorato ai suoi fedeli: alludeva alla sua età e alla sua esperienza, alle sue condizioni generali di salute, per mettere in guardia i più giovani che, nella loro ingenuità e fiducia, più facilmente potevano essere manipolati dalla propaganda. Anzi, riteneva che per la distanza le informazioni che provenivano dall’Ucraina giungessero incomplete e che di quello che stava succedendo si avesse sentore solo in minima parte, ma già questo era di proporzioni apocalittiche, per le violenze, il numero dei morti, l’abbrutimento cui era costretto il pacifico popolo ucraino: «Noi non possiamo ancora interamente conoscere quello che i bolscevichi hanno fatto per distruggere i villaggi ucraini e per ridurli alla miseria, ma ciò che ci è giunto evidenzia in modo chiaro che i bolscevichi sono contro il popolo, lo stanno distruggendo e vogliono continuare a farlo fino a quando non l’avranno del tutto annientato».

Sala

Daniela Sala

Caporedattrice Documenti per “Il Regno”

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