Il numero di dicembre del mensile de L’Osservatore romano dedicato a Donne, Chiesa, mondo, uscito il 3 dicembre, è dedicato a Maria ed è sorprendente: ospita infatti gli interventi di alcune teologhe che vogliono aprire «una discussione approfondita e aperta, un confronto libero e fecondo» sulla madre di Gesù, la cui figura ha subito nel corso del secondo millennio un’«iperesaltazione» che l’ha posta su un piedistallo irraggiungibile rispetto a tutti gli altri discepoli di Gesù, una (quasi) dea.
Il titolo di Theotokos
Nell’articolo «Maria la Theotokos. Madre di Dio: da Efeso al Vaticano II, analisi di una mariologa», la teologa Cettina Militello esamina il titolo attribuito a Maria nel concilio di Calcedonia (451), ma dibattuto in precedenza nel concilio di Efeso (431).
Nella controversia che portò a condannare come eretico Nestorio non fu assente un influsso del contesto efesino, «uno dei siti in cui era più palpabile la suggestione del femminile “divino”, ossia una rappresentazione della divinità secondo simmetrie di genere, epigono malgrado tutto di quella matriarcale religione della dea così diffusa nel bacino del Mediterraneo».
E si percorre la storia della controversia cristologica su Gesù vero Dio e vero uomo, per arrivare alla definizione del concilio Vaticano II, in cui troviamo «una visione equilibrata di Maria, mai dea o creatura a mezzo tra l’umano e il divino, ma sorella nostra nella fatica quotidiana del credere, a noi compagna nella “peregrinazione della fede”, beata perché ha creduto “nell’adempimento delle parole del Signore”».
Il principio mariano-petrino: parliamone
La biblista Marinella Perroni, invece, nell’articolo «Il duplice principio. Quello mariano-petrino: parliamone», sottopone a critica il ricorso al cosiddetto «principio mariano-petrino» da parte di tutti i papi a partire da quando esso fu formulato da Hans Urs von Balthasar, «che sperava di far accettare il primato della Chiesa di Roma a tutte le confessioni cristiane sulla base dell’integrazione del ministero petrino nella mistica mariana».
Tuttavia, si chiede Perroni, questo principio alla luce dello sviluppo della teologia risulta fortemente datato, in quanto prevede una caratterizzazione «materna» e «domestica» delle donne. E «garantisce la conservazione di stereotipi dottrinali, assetti istituzionali, pratiche devozionali», rivelando tutta la propria fragilità. E conclude: «Per questo l’invito è ormai pressante: parliamone».
Due dogmi mariani, senza precomprensioni
«I due dogmi mariani più recenti (Immacolata concezione e Assunzione) hanno in comune un peccato originale che li rende lontani dalla vita dei credenti e quindi incapaci di consolarli e muoverli all’amore e alla testimonianza». Così inizia il contributo della teologa Simona Segoloni, che poi precisa che il primo passo da fare per godere della loro bellezza è liberarli dalla precomprensione che fa di Maria «una donna che, sola e inimitabile, ha conosciuto la liberazione dal peccato e dalla morte».
Il messaggio di liberazione è invece ben presente nei due dogmi: «Nell’assunzione di Maria contempliamo il corpo di lei non toccato dalla violenza, dal sacrificio, dal dolore, ma totalmente trasfigurato dalla vita. Ogni donna ora sa che nessun dolore è necessario e che non le è richiesto il sacrificio: ciascuna sa che è fatta per la pienezza della vita. Come tutti».
E nel dogma dell’Immacolata concezione «resta anche qui la buona notizia: Maria è pienamente umana e proprio in forza della sua umanità riceve il dono di non cedere al male, riceve una singolare fortezza contro ogni peccato tanto da non esserne mai toccata (…) La buona notizia è che quello stesso Spirito che ha operato in lei provocandola a questa libertà d’amore è stato riversato nei nostri cuori (…) Sembra dirci che ci precede solo di qualche passo, basta affrettarci e la raggiungeremo».

Daniela Sala
Caporedattrice Documenti per “Il Regno”