Alla vigilia degli incontri continentali che daranno il proprio input rispetto al Documento per la tappa continentale, abbiamo intervistato il card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, sull’andamento in generale del percorso del Sinodo della Chiesa universale – «si tratta di un Sinodo ecclesiologico e sulla sua dimensione ecumenica».
Il Sinodo è in corso
– Il Sinodo e la sinodalità saranno la principale eredità del pontificato di Francesco, che ha fatto della dimensione processuale uno dei centri del suo magistero pastorale. C’è chi critica questa seconda fase d’ascolto perché sarebbe un cammino fine a sé stesso, dove ci sono troppi cantieri aperti di cui non s’intravvede il termine. È vero anche che dobbiamo ancora arrivare alla celebrazione vera e propria, dove si tireranno le fila del discorso. In questo «tempo di mezzo» che impressione ha del lavoro svolto sin qui e di ciò che ci si può aspettare dalla fase continentale?
«La sinodalità sarà un’eredità di papa Francesco, ma in verità si tratta di un’eredità del concilio Vaticano II. Non è un sogno personale di Bergoglio. È la spinta che lui sta dando a implementare l’insegnamento del Concilio, in specifico di Lumen gentium, laddove parla del popolo di Dio. È vero che il protagonista del processo sinodale è lo Spirito Santo, ma esso agisce mediante i battezzati, tutto il popolo di Dio. Per me questo è un tema molto importante anche per la riflessione in atto.
Lei ha detto che manca qualche mese alla celebrazione del Sinodo, ma io le rispondo che il Sinodo è già iniziato. Secondo una nuova esperienza. Nell’ottobre 2021 il santo padre lo ha aperto e ora ci sono varie tappe. La fase terminata in agosto non era una fase preparatoria per la celebrazione del Sinodo, ma fa già parte del processo sinodale».
Nessuna autoreferenzialità
«E così anche quella delle assemblee continentali. E poi sarà il tempo dei pastori che hanno il ministero e il carisma d’assicurarci che il discernimento del popolo di Dio è corretto. Mi piace questa immagine: non c’è gregge senza pastore ma non ci sono pastori senza gregge, il che significa che anche i pastori hanno il dovere d’ascoltare prima d’arrivare alle conclusioni.
Non sono quindi d’accordo con chi dice che in questo momento siamo avvitati su noi stessi; o forse non ci siamo spiegati abbastanza chiaramente: questa fase d’ascolto continentale per la prima volta ha consentito ai vescovi di fare spazio alle voci provenienti da tutto il mondo. Nel Documento per la tappa continentale, pubblicato a fine ottobre, c’è una sintesi o, meglio, il discernimento proveniente dal popolo di Dio.
Ad esempio, i vescovi in Oceania hanno avuto la possibilità – a prescindere dal fatto che l’abbiano fatto o meno – di riflettere su quello che ha detto la Chiesa in Africa, in America Latina, in Europa e viceversa. Ora ci auguriamo che ogni Chiesa continentale possa dare il proprio contributo a questo tema preciso “Per una Chiesa sinodale”. C’è chi vorrebbe un’altra agenda per il Sinodo; ma qui abbiamo già il tema che ci ha dato il santo padre: “Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione e missione”.
Sono convinto che una volta che la Chiesa avrà rafforzato la sinodalità – che già in parte esiste –, sarà poi in grado d’affrontare e dare una risposta ad altre domande. Questa non è quindi una riflessione autoreferenziale, ma avviene in vista della missione, così com’è detto nel tema del Sinodo: si tratta di fare tutto per la missione e l’evangelizzazione. E infatti non possiamo annunciare la gioia del Vangelo e Gesù stesso se non conosciamo l’uomo e il suo linguaggio. Per me questa è la sfida che ora abbiamo davanti».
Questa tappa continentale
– Questo significa anche riuscire a vedere «con gli occhi degli altri» (cf. anche qui) gli stessi temi, la stessa Chiesa, che è diversa in ogni angolo del mondo. Tuttavia forse si faticherà ad avere questa condivisione perché nella tappa continentale saranno comunque pochi i partecipanti…
«È vero; però coloro che parteciperanno, non lo faranno a titolo personale, ma dovranno portare la voce della propria Chiesa e della propria Conferenza episcopale. Così per i vescovi: non si viene a titolo personale ma come pastore responsabile del proprio gregge. Anche i rappresentanti agli incontri continentali hanno questo impegno. È per questo che il Documento per la tappa continentale è stato restituito a ogni Chiesa particolare, perché tutto è partito dal popolo di Dio; poi noi abbiamo cercato di fare al meglio una sintesi che di nuovo è stata restituita alle Chiesa particolari per questa forma di discernimento continuo. È in atto una forma di percorso circolare, non un processo verticale che coinvolge il popolo di Dio».
Ascolto ecumenico
– Portando la sinodalità in campo ecumenico, come raccomandato sin dai primi testi d’avvio del Sinodo, ci sono stati già alcuni frutti di questo cammino che da sempre – lo sappiamo – ha tempi molto lunghi?
«Come lei ha detto, questo è un processo che, iniziato molti anni fa, oggi il Sinodo riporta al centro e poi proseguirà. Dobbiamo avere la pazienza d’accompagnare i semi a portare frutto. Sin dall’inizio abbiamo detto a tutti i vescovi di cercare d’ascoltare anche le altre comunità cristiane, perché, nonostante le differenze, condividiamo il battesimo. La sinodalità aiuterà il movimento ecumenico. Come dice il santo padre, ci sono cose che possiamo imparare dai nostri fratelli e sorelle che non sono ancora in piena comunione con noi e viceversa.
Abbiamo avuto la visita dell’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, che si è detto molto interessato a questa esperienza che sta facendo la Chiesa cattolica. L’incontro è stato molto stimolante perché abbiamo condiviso sia le nostre speranze sia le nostre paure. Camminare insieme porta benefici a tutta la Chiesa e a tutta la società».
L’uniformità non esiste
– Questo dice molto dello stile ecumenico: non camminare verso una meta comune solo partendo da punti diversi che ci dividono, ma insieme, a partire dal medesimo battesimo, su temi che tutti devono affrontare, non solo gli specialisti dei dialoghi…
«La sinodalità permette a tutti i credenti di camminare insieme nei quartieri, nei posti di lavoro; oggi l’ecumenismo non deve essere fatto da pochi – sono consapevole che non tutti ne sono convinti –. Mi raccontava un infermiere della sua esperienza in ospedale, dove incontra cattolici, ortodossi, metodisti, e oggi anche molti musulmani e il discorso si allarga al dialogo interreligioso. Chi fa dunque l’ecumenismo? Non solo i teologi, le commissioni, ma i battezzati!
Abbiamo come comune patrimonio Gesù Cristo e il suo Vangelo. E il mondo ha bisogno di questo: incontrare lui. Il resto verrà. Ciò che conta è l’incontro con l’amore di Dio incarnato nella persona di Gesù; questa è la vera condivisione per tutti, anche se ci sono delle differenze.
L’unità non vuol dire uniformità, e questa è una ricchezza che a volte non è apprezzata abbastanza perché c’è chi vuole l’uniformità a tutti i costi, che non esiste neppure nelle nostre case, nelle nostre comunità cattoliche. Infatti una cosa è parlare della Chiesa in Africa e altra cosa è parlarne in Oceania: si tratta di mondi diversi».
Il focus: come trasmettere la fede
– Dall’ascolto sono emersi due temi molto sentiti e controversi: quello del ruolo delle donne e quello delle violenze e degli abusi nella Chiesa. Che futuro potranno avere secondo lei nel dibattito?
«Farei una precisazione. Il tema del Sinodo è chiaro: “Per una Chiesa sinodale”. Dobbiamo domandarci che cosa ci sta dicendo lo Spirito Santo per rafforzare questa dimensione della Chiesa, sia nelle sue strutture, sia nel suo approccio e nei suoi metodi. Questo richiede una conversione innanzitutto di ciascuno e poi delle strutture.
Una volta che si sarà fatto un vero discernimento ecclesiale ci auguriamo che la Chiesa trovi un nuovo assetto sinodale: sono consapevole che c’è molto da fare. Se accogliamo questo dono, allora saremo poi in grado di dare risposta alle altre domande che il popolo di Dio sta ponendo oggi: il ruolo delle donne, la partecipazione di tutti, gli abusi, il clericalismo.
Il punto è come possiamo davvero proclamare il Vangelo e trasmettere la fede. Sono convinto che per il momento non dobbiamo perdere il focus. Cerchiamo di aiutarci con le varie esperienze e necessità che ci sono nella Chiesa a diventare sempre più una Chiesa sinodale. E questo non è poco. E poi, sempre con l’aiuto dello Spirito, saremo in grado di offrire altre risposte, ma non dobbiamo perdere questo tempo di kairos».
La foresta e l’albero
«Se dobbiamo affrontare tutte le problematiche che ci sono e ci saranno nella Chiesa rischiamo, come si dice inglese, “to miss the forest for the tree”. Vedo questa sfida, perché noi vorremmo risposte immediate; ma, come dice il papa, il tempo è superiore allo spazio. Noi occupiamo questo piccolo spazio, siamo piccoli uomini e donne in un tempo che è più grande di noi.
Lo dico non per non voler affrontare alcune questioni, tutt’altro.
Dopo tutto, questo è un Sinodo sull’ecclesiologia e coinvolge tutti, dal più piccolo al più grande. Come ha detto Francesco nel discorso del 2015 in occasione del 50o dell’istituzione del Sinodo dei vescovi: tutti ascoltiamo – il popolo di Dio, il vescovo di Roma – ciò che lo Spirito vuole dire alla Chiesa e alle Chiese.
Se noi diventiamo veramente Chiesa sinodale saremo una Chiesa che cammina insieme, dove nessuno si sente scartato – santi e peccatori, dotti e ignoranti –, e diventeremo più consapevoli di queste difficoltà anche molto gravi, perché non voglio sminuirne l’importanza.
Ma più saremo in comunione, più ci sarà partecipazione, più avremo forza e luce per affrontare questi e altri temi».

Maria Elisabetta Gandolfi
Caporedattrice Attualità per “Il Regno”