In una lunga intervista concessa all’Associated Press e pubblicata lo scorso 25 gennaio, papa Francesco non si sottrae a nessun argomento. Tanto meno a quello delle violenze sessuali e degli abusi. Tra l’altro ammette che è stata proprio la sua interlocutrice, la giornalista Nicole Winfield, che gli ha fatto cambiare idea, contraddicendolo e dando credito alle vittime cilene, nella conferenza stampa sull’aereo di ritorno dal viaggio in Cile.
Nell’intervista viene ripreso il caso del vescovo emerito di Dili, Ximenes Belo, già premio Nobel per la pace (di cui abbiamo scritto qui https://re-blog.it/2022/11/05/quando-il-colpevole-e-anche-vescovo/ ), su cui il papa dice che ha voluto in prima persona che si rendesse noto il procedimento, iniziato sotto Giovanni Paolo II, quando «la consapevolezza di oggi non esisteva».
Caso Rupnik: Francesco risponde su due dubbi
E viene ripreso il caso del gesuita Marko Rupnik, su cui l’intervistatrice insinua il dubbio che ci sia una «manica più larga» perché le vittime erano maggiorenni. Il papa risponde negativamente, anche se è vero che la prescrizione dei fatti non viene fatta valere nel caso di minori, e in uno dei procedimenti contro il confratello sloveno invece è stata fatta valere.
Inoltre ribadisce la distinzione «tra peccato e crimine». Dice Francesco: «I peccati sono sempre perdonati», ma «il crimine, sì, lo perdono, ma si paga, si ripara il crimine. E in questo si deve essere molto chiari».
Ma risponde decisamente che non è stata sua la responsabilità di togliere a Rupnik la scomunica latae sententiae per l’altro delitto, quello dell’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento: «Non ho niente a che fare con questo».
Questa era in effetti una delle tante domande che rimanevano sospese dopo il caso Rupnik. Le altre sono ancora in attesa di risposta. Abbiamo provato a raccoglierle qui, nel pezzo che riprendiamo dall’ultimo numero di Regno – Attualità.
Altri snodi e altre domande
Inutile ripercorrere i fatti relativi al «caso» Rupnik, ormai a tutti noto in molti dettagli (cf. anche Regnodoc. 1,2023,35). Peccato averli saputi così: entrano dentro e lavorano come i tarli nel legno delle menti, della Chiesa, dei fedeli. Qualcuno se ne difende, accusando «i media» e chiudendo gli occhi perché, davvero, quello che è emerso è troppo.
Ancora più amaramente si potrebbe dire, tuttavia, che «non basta mai». La violenza e soprattutto l’abuso di potere spirituale è un abisso e ogni volta si rimane attoniti di fronte alla sua profondità. Ma questo caso ha alcune caratteristiche che lo rendono emblematico, anche perché riguarda la Chiesa in tutta la sua estensione gerarchica e per almeno metà del tempo si svolge in Italia.
Perciò ritengo sia necessario tentare di capire perché è grave, non solo per la responsabilità personale, che non sta a noi accertare (di Rupnik stesso abbiamo per ora solo il suo silenzio), ma per il contesto nel quale sono state lasciate prosperare azioni che andavano fermate e nel quale le orecchie sono state sorde come non mai al grido delle vittime: donne, religiose, persone in ricerca.
Enucleo alcuni snodi e molte domande: ciascuno di essi potrebbe costituire un capitolo a sé stante. CONTINUA A LEGGERE

Maria Elisabetta Gandolfi
Caporedattrice Attualità per “Il Regno”