Non c’è pace per il Sinodo tedesco. Ma forse queste schermaglie sono solo delle prove generali per la celebrazione del Sinodo dei vescovi di ottobre.
Il 24 gennaio, infatti, è stato reso noto uno scambio epistolare singolare.
Dopo che i vescovi tedeschi avevano di fatto incassato uno zero a zero a seguito della visita ad limina di novembre (come abbiamo scritto qui e qui), che aveva al centro proprio le procedure del Cammino sinodale tedesco, il 21 dicembre è arrivata alla Santa Sede una serie di domande a firma del cardinale Rainer Maria Woelki (discusso vescovo di Colonia, per via della sua gestione dei casi di pedofilia) e dei vescovi Bertram Meier (Augsburg), Stefan Oster (Passau), Rudolf Voderholzer (Regensburg) e Gregor Maria Hanke (Eichstätt).
Si chiedeva – sintetizzando – se i «vescovi tedeschi» fossero «tenuti o meno» a «partecipare al Consiglio sinodale», l’organismo permanente di vescovi e laici che dovrebbe tradurre concretamente le decisioni del Cammino sinodale.
Il Consiglio sinodale e il diritto canonico
Nella risposta, giunta il 20 gennaio, a firma dei cardinali Pietro Parolin, segretario di stato, Luis Francisco Ladaria, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, e Marc Ouellet, prefetto del Dicastero per i vescovi, si afferma: «Né il Cammino sinodale, né un organismo da esso istituito, né una conferenza episcopale hanno la competenza di istituire il “Consiglio sinodale” a livello nazionale, diocesano o parrocchiale». Le sue decisioni – affermano i tre cardinali –, esautorerebbero i vescovi o la conferenza episcopale.
Eppure secondo il Consiglio permanente della Conferenza episcopale tedesca, riunitosi il 23 del mese, non c’era nessuna erronea applicazione del diritto canonico, come rispondeva il suo (paziente) presidente Georg Bätzing.
Semmai c’era una nota di rammarico per i modi poco dialogici con i quali i vescovi-contestatori, capeggiati da Woelki, avevano scavalcato la conferenza episcopale e si erano rivolti direttamente a Roma.
D’altra parte – ha ribadito Bätzing – il «Consiglio sinodale» è un organismo sulla cui realizzazione si è votato, con una larga maggioranza, durante le sessioni del Cammino sinodale, «nell’ambito del diritto canonico vigente». Esso «stabilisce che le decisioni di questo organo abbiano lo stesso effetto legale delle decisioni dell’assemblea sinodale. Ciò rende evidente che la preoccupazione espressa nella lettera che un nuovo organismo possa porsi al di sopra della Conferenza episcopale o minare l’autorità dei singoli vescovi è infondata».
Il papa: il timore di un Sinodo di élite
Basterà? Difficile dirlo, anche perché il papa non nasconde il suo sospetto nei confronti dell’assise tedesca. Infatti l’ha pienamente espresso durante la lunga intervista concessa ad Associated Press e resa nota il 25 gennaio.
Riportiamo qui, in una nostra traduzione dallo spagnolo, le battute in merito.
Ha detto Francesco: «L’esperienza tedesca non aiuta, perché non è un Sinodo vero e proprio: è un cammino cosiddetto sinodale ma non di tutto il popolo di Dio, bensì fatto da una élite. Mi guardo bene dal parlarne troppo, ma a suo tempo ho scritto una lettera, che mi ha impegnato per un mese. L’ho fatto da solo e quando mi chiedono qualcosa, rispondo: “Andate a rileggere lettera” [si riferisce alla Lettera al popolo di Dio che è in Germania; Regno-doc. 15,2019,479].
Poi ho avuto un incontro con loro qui a Roma e ora il Dicastero per i vescovi, quello per la Dottrina della fede e la Segreteria di stato hanno fornito una precisazione su tre o quattro cose che erano emerse da quel dialogo. Il Cammino sinodale in Germania si è sviluppato dalle diocesi verso il popolo: è stato un po’ elitario e non ha il consenso procedurale di un Sinodo in quanto tale».
L’ideologia e lo Spirito Santo
Comunque, prosegue il papa, «c’è un dialogo in corso e se si vuole dare un aiuto non si deve interrompere il dialogo, giusto? Ma l’esperienza sinodale tedesca si sta sviluppando o si è sviluppata negli episcopi, e da lì sta andando verso il popolo di Dio. Il pericolo è che si insinui qualcosa di molto, molto ideologico. E quando l’ideologia entra nei processi ecclesiali, lo Spirito Santo se ne va a casa perché l’ideologia prende il suo posto. Comunque, dove c’è dialogo, non c’è cattiva ma buona volontà. Magari è un metodo efficiente, anche se per me è anomalo.
Lei ha parlato di alcune cose che loro vogliono risolvere, ma sulla base di quali criteri? Sulla base dell’esperienza ecclesiale, attingendo alla tradizione degli apostoli e traducendola ai giorni nostri, o sulla base di dati sociologici? Questo è il problema, il problema fondamentale.
Ma dobbiamo avere pazienza, dialogare e accompagnare questo popolo nel suo vero cammino sinodale e aiutare questo cammino più elitario a non finire in qualche modo male, bensì a integrarsi nella Chiesa. Si cerca sempre di tenere insieme».

Maria Elisabetta Gandolfi
Caporedattrice Attualità per “Il Regno”