A quanto pare è necessario tornare sui banchi di scuola anche per vivere il Sinodo: l’offerta di corsi si è moltiplicata, anche perché gli «alunni» hanno dimostrato interesse e, in effetti, tra sinodi nazionali, regionali e Sinodo dei vescovi… non è superfluo almeno chiarire i termini. In più con la pandemia tutti abbiamo forzatamente preso confidenza con le modalità di riunioni «da remoto» e ora ne stiamo traendo i frutti migliori, come quello, appunto, di iscriversi a un corso potendo frequentarlo in orari assolutamente flessibili.

Uno dei primi è stato quello voluto dall’Istituto teologico gesuita statunitense Boston College, che ha offerto un corso on-line plurilingue di circa 12 ore nel 2022, con il patrocinio di CCEE, CELAM, FABC, CLAR, Gesuiti, UCESM, UISG e USG. Il tema: «Common discernment and decision making in a synodal Church».

Visto il successo – 100.000 iscrizioni –, si replica anche nel 2023 con un secondo corso (i video saranno disponibili tra febbraio e marzo) sul tema «History, Theology and Practice of Synodality». Dietro a entrambi i corsi ci sono come ideatori i teologi latinoamericani della Commissione teologica del Sinodo dei vescovi e del Gruppo teologico ibero-americano.

 

Sinodalità e liturgia

«Corso di formazione alla sinodalità» è la denominazione dell’iniziativa di formazione, anch’essa on-line, partita lo scorso gennaio presso l’Istituto universitario Sophia di Loppiano e organizzata dal Movimento dei focolari, a cui hanno aderito un migliaio di corsisti.

E, sempre a gennaio, è iniziata a Bologna la «Piccola scuola di sinodalità» che, in una modalità mista – in presenza e tramite la piattaforma Zoom –, sta proponendo un ciclo di incontri in cui tre relatori per ciascuna delle 7 serate affrontano un aspetto che la Fondazione per le scienze religiose (FSCIRE) – insieme a una serie di partner: dall’Azione cattolica ad Avvenire e a molte testate d’informazione religiosa, come Il Regno, dall’Associazione italiana catecheti al Rinnovamento nello Spirito, Sant’Egidio, Comunione e liberazione – ha individuato come imprescindibile per capire e, quindi, vivere il Sinodo e la sinodalità.

Le serate, che si svolgono all’interno di una chiesa, sono scandite da un momento di preghiera cantata da Benedetto Chieffo e da alcune domande raccolte dai conduttori sia tra il pubblico sia da casa: segno della volontà di voler mantenere il doppio binario della dimensione liturgica e di quella del dibattito tipico dell’assemblea.

 

Chiese disallineate

L’apprendimento è certamente un processo permanente, ancor più oggi, dove tante generazioni di giovani, anche tra coloro che sono attivi nella vita ecclesiale, non conoscono né la stagione del Concilio né i suoi documenti. D’altra parte non si può immaginare una rialfabetizzazione che sia solo un ripasso storico o una lettura dei suoi testi fondativi, cosa doverosa ma non sufficiente.

Fatte le debite distinzioni, ciò vale anche per quelle Chiese che hanno come saltato il Concilio perché provenienti d’Oltrecortina – Tomas Halík l’ha ribadito più volte –, dove non solo l’ideologia ma i regimi dittatoriali non consentivano una vita religiosa effettiva o il confronto con il vissuto proveniente da Roma. O anche per le Chiese che durante gli anni Sessanta del secolo scorso hanno sommato il Concilio alle istanze della de-colonizzazione.

E non v’è dubbio che per quelle Chiese che lo hanno vissuto come momento di reale confronto con i «tempi moderni» la recezione non è stata indolore. I motivi sono molteplici e su di essi sono stati versati fiumi d’inchiostro. Ma siamo di fronte a nodi, alcuni irrisolti (il ruolo dei laici e delle donne in particolare, tanto per citarne uno), altri lasciati a mezza via perché frutto di necessarie mediazioni (l’effettivo esercizio della collegialità episcopale ad esempio).

Il disallineamento che di fatto esiste – e che esisterà – anche all’interno di una tra le istituzioni più globalizzate come la Chiesa cattolica talora assume i toni di uno scontro epocale. Il caso tedesco, per non dire nulla delle «guerre liturgiche» nordamericane, rimane emblematico. E la confusione è grande sotto questo cielo.

 

Scommettere sui propri compagni di banco

C’è un punto di non ritorno in questo momento: il processo avviato da Francesco all’inizio del suo pontificato, sul quale ha incanalato la Chiesa intera e dal quale non si tornerà indietro: una Chiesa «tutta sinodale». Il come è la scommessa.

Si può declinare la sinodalità dal punto di vista biblico e leggerla come forma di sequela compiuta da soggetti diversi e non necessariamente in modalità perfette.

Come processo liturgico e decisionale allo stesso tempo, dove ciascun aggettivo interroga l’altro.

Come ascolto di Dio; e come ascolto del popolo di Dio, momento non meramente propedeutico alla decisione presa nei diversi gradi gerarchici.

Come tempo per imparare a compiere come comunità un discernimento di fronte alle questioni più scottanti (laici, donne, celibato, omosessualità, violenze e abusi).

Come stile che caratterizza in forma permanente la vita ecclesiale nella contemporaneità.

Come forma d’accoglienza povera e d’ascolto inclusivo della povertà nelle sue diverse forme.

Come segno di una Chiesa una che tiene al suo interno la diversità, così come la rappresenta e tenta di viverla nel dialogo ecumenico con le Chiese sorelle.

Il programma è ambizioso e gli esiti non sono scontati. Tanti stanno cantando in questo coro, molti sono tentati di fare i solisti, qualcuno stona.

Andiamo quindi a lezione: il «sentire cum Ecclesia» parte dallo stare nello stesso banco.

Maria Elisabetta Gandolfi

Maria Elisabetta Gandolfi

Caporedattrice Attualità per “il Regno”

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