Questo decreto «dimentica le persone e colpevolizza chi tenta di salvarle». Non usa giri di parole mons. Giancarlo Perego, presidente della Commissione CEI per le migrazioni e presidente della Fondazione Migrantes, nel commentare il decreto-legge del 2 gennaio 2023 recante «Disposizioni urgenti in materia di transito e sosta nelle acque territoriali delle navi non governative impegnate nelle operazioni di soccorso in mare». Il decreto, come ha ricordato davanti alle Commissioni parlamentari riunite I (Affari costituzionali) e IX (Trasporti) «indebolisce di fatto il principio costituzionale della sussidiarietà» che, all’art. 118, recita «Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Questo articolo, applicato alla specifica situazione dell’azione delle navi della società civile, secondo mons. Perego «dovrebbe vedere lo Stato favorire e non indebolire l’impegno a realizzare questo obbligo di salvataggio e di tutela dei migranti. Per queste ragioni il destino del decreto dovrebbe essere solo la sua abrogazione».

 

Costruito sul nulla

– Fin dalle prime settimane Migrantes si è opposta a questo provvedimento. Per quale motivo a vostro parere il decreto è costruito sul nulla?

«Anzitutto perché non risponde nel testo a ciò che è indicato nel titolo: «Disposizioni urgenti sulla gestione dei flussi migratori». L’urgenza oggi non è rendere più difficile il lavoro prezioso di salvataggio dei migranti delle ONG nel Mediterraneo, ma semmai nuove norme per la tutela e la protezione o il rimpatrio dei migranti salvati nel Mediterraneo, come anche norme più rigide sui respingimenti in mare – 100.000 dal 2017 –, un’attenzione agli arrivi via terra dai Balcani che sono stati il doppio rispetto a quelli via Mediterraneo, un rinnovato impegno  nel costituire un sistema unico di accoglienza, un’attenzione alla realtà di Lampedusa primo luogo di approdo di metà di tutti i migranti che prendono la strada del Mediterraneo, nuovi accordi con i paesi di partenza, nuovo impegno per la solidarietà europea nell’accoglienza, un’attenzione particolare alla tutela dei minori non accompagnati in crescita».

 

Disobbedienza civile

– Perché non è accettabile il giudizio implicito di questo provvedimento governativo sulle ONG?

«È un giudizio che non entra nel merito dell’azione delle ONG, sussidiaria a quella dello Stato e dell’Europa, che è intervenuta dopo la fine dell’importante azione di Mare nostrum; chiede alle ONG un’azione di controllo e di polizia, mentre sono in mare per il soccorso; assegna compiti di identificazione che non sono propri di una nave di soccorso; rende ulteriormente difficili le assegnazioni di un porto sicuro vicino, come dimostrano le recenti assegnazioni di porti come La Spezia, Ravenna, Massa Carrara…».

Lei crede che questo sia uno dei casi in cui si possa correttamente applicare la disobbedienza civile?

«Credo che anzitutto una nave risponde alle regole delle convenzioni internazionali e alle linee guida sul trattamento del soccorso in mare; illustri giuristi e costituzionalisti hanno già individuato nel decreto elementi di anticostituzionalità; la commissaria per la tutela dei diritti umani del Consiglio d’Europa ha già chiesto il ritiro del decreto: sono tutti elementi che giustificano una disobbedienza civile. Mi auguro però che il Parlamento arrivi a decidere questo ritiro e non, come sembra da alcune proposte, un suo ulteriore aggravamento».

 

L’Europa si impegni

– Ci sono a suo avviso casi di ambiguità da parte dell’operato delle ONG?

«A mia conoscenza no, hanno rispettato le regole d’ingaggio. Credo che l’azione delle navi giustamente si concentri sulla rotta libica perché è la più trafficata verso l’Italia. Non credo alle accuse di collaborazione con i trafficanti, smentite anche dal commissario dell’ONU Grandi».

– Che cosa chiederebbe all’Europa per affrontare in maniera convinta il problema del traffico degli esseri umani?

«Una prima azione è l’impegno per la pace e la democrazia nei Paesi in guerra. Sono 34 le guerre in corso, che muovono almeno 20 milioni di persone. Un secondo impegno è per la crescita democratica nei paesi dell’Africa del Nord e del Centro, senza la quale anche la tutela delle persone è a rischio. Un terzo impegno è per lo sviluppo dei paesi poveri: rimane aperta la questione del debito estero, di progetti di sviluppo nel campo sanitario e scolastico. Questi tre impegni potrebbero essere supportati anche da accordi per i rimpatri assistiti. Certamente, sarebbe importante una nuova operazione come Mare nostrum, ma questa volta europea, sostenuta da tutti i paesi, che porti alla chiusura dell’accordo con la Libia, che veda la solidarietà nell’accoglienza di tutti gli stati europei, che preveda da subito la collocazione nei diversi paesi dei richiedenti asilo».

Paolo Tomassone

Giornalista

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