Un confronto tra i documenti finali delle Assemblee continentali sinodali di Oceania ed Europa.

Due eventi in parallelo

È interessante confrontare due eventi avvenuti quasi in parallelo, l’Assemblea sinodale continentale delle Chiese dell’Oceania (Suva, Fiji, 5-9 febbraio) e quella delle Chiese europee (Praga, 5-12 febbraio). Per quanto molto diversi tra loro hanno fatto emergere interessanti somiglianze.

In Oceania si è trattato di un’assemblea di vescovi, visto che i partecipanti erano i membri dell’Assemblea della Federazione delle quattro conferenze episcopali cattoliche dell’Oceania (FCBCO). A Praga, invece, i momenti sono stati due: innanzitutto l’Assemblea sinodale continentale, con membri laici scelti dalle conferenze episcopali (dal 5 al 9), e poi (dal 9 al 12) quella del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE), chiamata a dire la sua sul documento stilato dall’Assemblea.

Entrambi gli eventi hanno comunque prodotto un documento finale, che si trova sulle rispettive pagine web, e i motivi di sintonia emergenti in estrema sintesi sono due: le ferite e le paure, da un lato; dall’altro la constatazione della varietà vissuta nelle Chiese locali, tra di esse, nel rapporto con la Chiesa universale, nel rapporto con il «mondo», inteso come universo culturale in cui ogni comunità è immersa.

 

Le paure: il cambiamento climatico, le ferite delle violenze

Non è per nulla da sottovalutare il grande timore che provoca in Oceania, un continente formato da «una rete di isole, grandi e piccole», la questione del cambiamento climatico. Esso costituisce «una minaccia esistenziale per le nostre persone e comunità. Si manifesta con l’innalzamento del livello del mare, l’acidificazione degli oceani, la siccità, le inondazioni e gli eventi meteorologici più frequenti ed estremi».

Non meraviglia quindi che la «conversione ecologica» venga vista «come una priorità missionaria urgente non solo per noi, ma anche per tutta la Chiesa».

Ed ecco l’eco proveniente dall’Europa, dove è emerso il «dolore delle ferite che segnano la nostra storia recente, a partire da quelle che la Chiesa ha inflitto attraverso gli abusi perpetrati da alcune persone nello svolgimento del loro ministero o incarico ecclesiale, per finire con quelle provocate dalla violenza mostruosa della guerra d’aggressione che insanguina l’Ucraina e dal terremoto che ha devastato Turchia e Siria».

 

Oceania: la diversità come risorsa

Sul secondo aspetto dicono di sé le Chiese dell’Oceania: noi siamo «la patria di alcune delle Chiese locali più giovani del mondo e anche della cultura continuativa più antica del mondo. Ci rendiamo conto della complessità del mondo contemporaneo con cui la nostra gente deve cimentarsi. Se da un lato l’essere giovani può comportare delle vulnerabilità, dall’altro offre freschezza e vitalità. Abbiamo imparato che le Chiese più giovani della nostra regione hanno lezioni da impartire alle Chiese più consolidate sulla sinodalità e sul mantenimento della freschezza dell’incontro del Vangelo con le culture e le società locali».

Il testo finale cita esplicitamente l’intervento che ha fatto in Assemblea suor Nathalie Becquart XMCJ, sottosegretario della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi, perché «ci ha fatto conoscere l’esperienza sinodale di altre parti del mondo. Come in Oceania, non esiste un modello unico per tutti. Ci siamo sentiti affermati nel rispondere a modo nostro nel nostro contesto».

 

Europa: la diversità è anche un ostacolo

Anche se la discussione non è stato priva «di problemi e difficoltà» – annota con onestà il documento finale attualmente pubblicato dall’Assemblea europea a Praga – l’immagine di Chiesa che ne è uscita «è bella, portatrice di una varietà che è anche la nostra ricchezza» e dice che «è possibile incontrarci, ascoltarci e dialogare a partire dalle nostre differenze e al di là dei tanti ostacoli, muri e barriere che la nostra storia ci mette sul cammino. Abbiamo bisogno di amare la varietà all’interno della nostra Chiesa e sostenerci nella stima reciproca, forti della fede nel Signore e della potenza del suo Spirito».

Se dai primi resoconti di chi ha partecipato a Praga si segnalava che l’Assemblea ha avuto momenti di tensione, è però anche emersa la proposta che essa «diventi un appuntamento periodico, fondato sull’adozione generalizzata del metodo sinodale e che metta permanentemente a tema l’accompagnamento delle persone ferite, il protagonismo dei giovani e delle donne, l’apertura ad apprendere dalle persone emarginate…».

Lo stile sinodale richiamato dal testo deve consentire «d’affrontare le tensioni in una prospettiva missionaria, senza rimanere paralizzati dalla paura, ma traendone l’energia per proseguire lungo il cammino. Due in particolare sono emerse nei nostri lavori. La prima spinge a fare unità nella diversità, sfuggendo alla tentazione dell’uniformità. La seconda lega la disponibilità all’accoglienza come testimonianza dell’amore incondizionato del Padre per i suoi figli con il coraggio di annunciare la verità del Vangelo nella sua integralità: è Dio a promettere “Amore e verità s’incontreranno” (Sal 85,11)».

 

Le priorità europee

Il testo approvato a Praga chiude poi con una nutrita e ambiziosa serie di azioni prioritarie in vista dell’Assemblea sinodale del 2023 e del 2024. Le riporto pressoché alla lettera:

– approfondire la pratica, la teologia e l’ermeneutica della sinodalità;

– affrontare il significato di una Chiesa tutta ministeriale, con tutto quello che ne consegue;

– esplorare forme per un esercizio sinodale dell’autorità;

– chiarire i criteri di discernimento per il processo sinodale e a che livello, da quello locale a quello universale, vanno prese le decisioni;

– prendere concrete e coraggiose decisioni sul ruolo delle donne all’interno della Chiesa;

– considerare le tensioni intorno alla liturgia, in modo da ricomprendere sinodalmente l’eucaristia come fonte della comunione;

– curare la formazione alla sinodalità di tutto il popolo di Dio, con particolare riguardo al discernimento dei segni dei tempi in vista dello svolgimento della comune missione;

– rinnovare il senso vivo della missione, superando la frattura tra fede e cultura per tornare a portare il Vangelo nel sentire del popolo, trovando un linguaggio capace di articolare tradizione e aggiornamento. Lo Spirito ci chiede d’ascoltare il grido dei poveri e della terra nella nostra Europa, e in particolare il grido disperato delle vittime della guerra che chiedono una pace giusta.

Maria Elisabetta Gandolfi

Caporedattrice Attualità per “Il Regno”

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