«C’è un aggredito», l’Ucraina, e «un aggressore» la Russia, quindi «la legittima difesa è importante». Ma la «logica delle armi» non può essere l’unica strada da percorrere. A un anno dall’inizio del conflitto bisogna lavorare perché «si aprano spazi di pace» e si cerchi «una via del dialogo». A dirlo è il presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna, il card. Matteo Zuppi, in occasione dell’incontro «Le armi nucleari e l’Italia. Che fare?» promosso il 18 febbraio a Bologna dai rappresentati di una quarantina di organizzazioni cattoliche e di movimenti ecumenici e nonviolenti su base spirituale che hanno firmato l’appello per chiedere l’adesione dell’Italia al Trattato di proibizione delle armi nucleari. 

 

Il Trattato del 2017

Un trattato che è stato votato nel luglio 2017 e sottoscritto da 122 paesi, molti africani, latinoamericani e asiatici, ben pochi europei. Entrato in vigore nel gennaio 2021, rende illegale, negli stati che l’hanno sottoscritto, l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari.

Secondo le associazioni che sono intervenute durante l’incontro in arcivescovado non è più rimandabile un serio dialogo e un confronto pubblico e in sede parlamentare sulla proposta lanciata dalla campagna «Italia ripensaci» e promossa dai rappresentanti in Italia della coalizione Ican, Nobel per la pace 2017, anche in considerazione del fatto che stanno per essere stoccate a Ghedi e ad Aviano le nuove bombe atomiche B61-12.

 

Zuppi: artigiani e architetti della pace

«È ovvio che si debba continuare a insistere perché si aprano spazi di pace, perché non ci sia soltanto la logica della armi – ha detto il card. Zuppi –. La legittima difesa è importante, perché purtroppo c’è tragicamente un aggredito e un aggressore. Ma allo stesso tempo dobbiamo cercare ogni via di dialogo». A ottobre il diplomatico statunitense Henry Kissinger «chiedeva, fosse anche soltanto in forma esplorativa, che tutti quelli che debbono e possono aiutare il dialogo» si impegnassero per «costruire un’architettura di pace credibile, seria e duratura nella giustizia». Una richiesta che arriva forte anche dalle associazioni e dai movimenti pacifisti presenti all’incontro. «Credo che le tante realtà che oggi sono rappresentate qui portino con sé migliaia di persone, tante sensibilità, tanta consapevolezza e tanto artigianato di pace – ha aggiunto il presidente della CEI –. Solo se c’è tanto artigianato di pace ci saranno anche gli architetti della pace. Se ci sono tanti che in tanti modi costruiscono la pace, questo spingerà sicuramente a trovare le architetture della pace».

 

Ricchiuti: l’interposizione della politica

All’appuntamento bolognese ha preso parte anche mons. Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi. «Oggi, a un anno dallo scoppio di questo conflitto – ha detto – dobbiamo ancora una volta essere lì come voci, seppur inascoltate, a dire di percorrere le strade del dialogo. Perché è solo questa la strada che può salvarci: la strada del dialogo, dell’incontro, di una cultura della pace intesa davvero come sviluppo dei popoli e un’apertura su un nuovo futuro di questo nostro mondo». Chi governa, secondo il presidente di Pax Christi, ha la grande responsabilità di mettersi in ascolto di quanti oggi desiderano la pace. «Questa politica ancora non riesce a interporsi come pacificatore. Qualcuno ha detto “se io vedo due litigare che faccio? Uno è aggressore e l’altro è aggredito”. Ci si interpone, convincendo l’aggressore a gettare a terra le armi e convincendo anche l’aggredito a non rispondere alla stessa maniera ma cercando davvero di colloquiare, di capire il perché. Ed è questa interposizione che fino a oggi è mancata».

Paolo Tomassone

Giornalista

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