Che cosa ci sta dietro la definizione di Francesco come «papa twittabile»? Si può parlare di «influencer cattolici» o è meglio la qualifica di «missionario digitale»? A proposito di fede, Chiesa e Internet, che cosa ci ha lasciato di buono e cosa di meno buono il lockdown del 2020? Si è svolta intorno a questi tre interrogativi la conversazione «La Parola corre su Internet» che il nostro Guido Mocellin ha tenuto a Bologna lo scorso 18 febbraio, presso la parrocchia di Nostra Signora della Fiducia, nell’ambito di un ciclo di catechesi per gli adulti dedicato a «Comunicare la buona notizia nell’età digitale». Sul canale YouTube della parrocchia è possibile rivedere l’intero incontro, che è stato trasmesso in streaming. Qui di seguito riproduciamo la seconda parte della conversazione, in cui si parla di influencer. (PT).
Se pensiamo a Chiara Ferragni
Più o meno credo che tutti abbiate un’idea di cosa si intende per influencer, ma nel dubbio vi riporto la definizione del vocabolario Treccani: «Personaggio popolare in Rete, che ha la capacità di influenzare i comportamenti e le scelte di un determinato gruppo di utenti e, in particolare, di potenziali consumatori, e viene utilizzato nell’àmbito delle strategie di comunicazione e di marketing». Subito – anche perché freschi di Sanremo – ci viene in mente Chiara Ferragni: qualcuno i cui pochi riferimenti pubblici alla fede sono o negativi (come per la decisione di non battezzare i figli), o dissacranti (come nelle immagini in cui è ritratta come la santa patrona degli influencer), o involontari (come quelli dei cronisti che, abbagliati dal matrimonio-evento, l’hanno descritta «all’arrivo in chiesa»).
Da una ricerca di qualche anno fa su «La fede dei giovani e i loro influencer sui social network» risultava che tra gli influencer dei giovani digitali interessati alla religione il primo è papa Francesco (vedi sopra), il secondo Paulo Coelho e il terzo il Dalai Lama. Va da sé che per accedere a questa classifica bisogna spogliare la definizione di influencer dal riferimento al consumo di beni, che invece vi riveste un ruolo centrale, a meno di non estendere tale riferimento ai beni spirituali, e di conseguenza occorre sostituire al concetto di «consumo» quello di «godimento». E bisogna anche prescindere dal fatto che un influencer è un soggetto la cui popolarità si diffonde a partire dalla sua attività in Rete (come blogger e youtuber e come titolare di account sui social network) e non semplicemente attraverso la Rete.
Missionari digitali
Allora ci rivolgiamo proprio a Francesco, che, direttamente e indirettamente, ha mostrato di preferire al termine di influencer quello di «missionario digitale». Questa categoria di cristiani che nei modi più vari si mettono a pubblicare contenuti in Rete (su YouTube, Facebook, Instagram…) ha una profetessa: si chiama suor Xiskya Valladares, è di lingua ispanica e nel 2019, in occasione del quinto raduno dei suoi discepoli («cattolici di vari movimenti, comunità, famiglie religiose… di tutti gli stati di vita», che condividono «la stessa inquietudine e la stessa vocazione: evangelizzare in Internet»), ha ricevuto dal Papa stesso un videomessaggio nel quale egli raccomanda loro di abitare la Rete secondo due atteggiamenti evangelici: la prossimità e la tenerezza. Agli influencer cattolici / missionari digitali (non solo ispanofoni), tre anni dopo, si sono rivolti la Segreteria del Sinodo dei vescovi e il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita per interpellare attraverso di loro, sui temi del processo sinodale in corso, quella fascia di persone, perlopiù giovani, che gli altri canali istituzionali (parrocchie, diocesi, religiosi, movimenti e associazioni) non sono stati in grado di convocare (vedi questo post di Maria Elisabetta Gandolfi qui su Re-blog).
Bibbia, spiritualità, catechesi online
Da quanto vedo in Rete, la forma più diffusa di evangelizzazione online, in Italia, riguarda il commento alle letture, festive ma anche feriali, che la liturgia propone. Molto diffuse sono anche forme di meditazione spirituale, spesso legate a semplici immagini e brevi commenti quotidiani che sono molto adatti a essere condivisi con un click sui social network. Sono parecchi anche gli insegnanti di religione che utilizzano la Rete come supporto e ampliamento delle loro lezioni, anche se in questo caso non si dovrebbe parlare di evangelizzazione ma di cultura cristiana. Infine vi sono persone particolarmente dotate sul piano comunicativo e/o che hanno ben appreso la specificità dei mezzi digitali, che offrono online forme originali di catechesi. Credo che abbiate sentito parlare in molti di don Alberto Ravagnani, un giovane prete che ha trasferito efficacemente su YouTube la comunicazione tipica degli oratori; ma non è il solo.
Rivolgendosi proprio ai giovani, durante la GMG di Panama, ancora papa Francesco ha individuato in Maria di Nazaret l’influencer alla quale affidarsi per orientare i propri comportamenti e le proprie scelte. Allontanandosi definitivamente non solo dall’origine del termine, ma anche dal suo contesto: «Senza dubbio la giovane di Nazaret non compariva nelle “reti sociali” dell’epoca, lei non era una influencer, però senza volerlo né cercarlo è diventata la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia».
Se il modello è Maria di Nazaret
Vale perciò la pena, secondo me, tentare di chiudere il cerchio e vedere, proprio a partire da Maria, con quale metro misurare gli «influencer cattolici» che quotidianamente possiamo incontrare attraverso la Rete.
Per prima cosa – e questo lo dice esplicitamente il Papa – un influencer cattolico è uno, o una, che, stando online, dice sì a Dio e alle sue promesse. Ha udito una chiamata ed è partito per l’ambiente digitale nella prospettiva di rispondere, anche (ma non solo) in questo modo, a quella chiamata. In secondo luogo è una, o uno che custodisce, «meditandole nel suo cuore», le «cose» dello Spirito che vive: il che parrebbe in contraddizione con la dimensione pubblica dell’influencer, ma non lo è, se diventa criterio di selezione delle parole e delle immagini che vengono postate. Infine è una persona che ci dice di fare quel che dice Gesù; ovvero riesce a tenere la parola di Dio come riferimento diretto dei contenuti che propone o dei giudizi che offre sui contenuti altrui. In sintesi: è chi si lascia utilizzare in Rete «nell’ambito delle strategie di comunicazione» del Signore. Ci sarà qualche figura che, in questo, eccelle. Ma ognuno di noi, anche se i suoi fan su Facebook si contano a decine e non a milioni, può fare la sua parte.

Guido Mocellin
Giornalista