Rapportarsi nello spazio attivando tutti i recettori per vivificare la bellezza della relazione con il creato e tra gli esseri umani. Ci hanno provato con successo a Venezia, nell’ambito della Biennale di Architettura – che si è aperta il 20 maggio ed è visitabile fino al 26 novembre – gli architetti dello Studio Albori e il veterano portoghese Álvaro Siza per l’allestimento del padiglione della Santa Sede sull’isola di San Giorgio Maggiore: «Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino». Il proposito muoveva dal celebrare i dieci anni di pontificato di papa Francesco traducendo in esperienza estetica le encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti.
Meraviglia e semplicità
Costruire reti, ritrovare sguardi di riconoscenza ed energie per incontrare l’altro in una dimensione verticale e orizzontale, superare egoismo, isolamento, disincanto, abitudine e ripescare gusto, meraviglia, genuinità, semplicità: sono i nuclei di un magistero che i curatori dello spazio vaticano alla rassegna internazionale di Venezia hanno saputo esprimere con equilibrio e maestria. Al debutto di cinque anni fa, il padiglione vaticano si era presentato con il progetto «Vatican Chapels» nel parco della stessa isola lagunare; stavolta sono gli spazi dell’abbazia benedettina di matrice palladiana a entrare in dialogo con l’arte contemporanea in una maniera che non è del tutto inedita (i monaci da tempo, con mostre e incontri, fanno opera di ricucitura tra questa e la Chiesa, convinti che il legame si sia spezzato) ma è certamente originale.
Tutti nel giardino
Nel giardino del complesso religioso, accanto a piante esistenti hanno trovato insediamento nuovi alberi, piante officinali, ortaggi. Ci sono galline, panchine per la contemplazione, voliere, tartarughe, pergolati, prati per i bambini. Gli architetti hanno realizzato un orto-giardino con vecchie e nuove piantumazioni che dicono di un incrocio di geografie e culture. Riuso e trasformazione sono le parole chiave di un lavoro che dalla rimozione di una abitazione a Cortina d’Ampezzo ha creato manufatti nuovi. La scuola primaria A. Manzoni ha esteso qui il progetto «mani in orto», l’associazione Red Carpet for All (giovani adulti con disabilità) ha qui continuato a sperimentare la propria attività; gli utenti della Casa dell’ospitalità partecipano a una manutenzione collettiva.
Crescere rivolti al sole
«Un giardino è un atto culturale, un maestro spirituale perché ci insegna tanto sulla vita interiore. Un giardino è un locus di pace – ci dice il commissario del padiglione, il card. Josè Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione – perché ci fa vedere come è possibile la convivenza del crescere insieme nella direzione del sole». Egli sostiene che l’architettura è una delle vie privilegiate per vivere quella mistica del quotidiano tanto ricercata. «La conversione ecologica non è un’idea astratta», precisa. Così come l’architettura è una disciplina che ha molto a che fare con l’abitare concreto delle persone.
Pietà, accoglienza, prossimità. Il novantenne Siza ha saputo interpretare il desiderio di comunità con un’essenzialità molto più eloquente di qualunque effetto speciale. Due statue in marmo, che riproducono in forma stilizzata la figura umana, sorvegliano l’incipit e la fine del percorso nelle sale dell’abbazia, mentre altre nove, in profumatissimo legno delle Azzorre, campeggiano negli interni.
Corpi ospitali
Hanno un dinamismo sorprendente, muovono all’abbraccio, a superare soglie e sovrastrutture, resistenze ma anche fagocitosi, a stabilire connessioni autentiche, liberanti. «Il nostro corpo è la nostra prima espressione politica. Questi corpi disegnati da Álvaro Siza sono corpi ospitali che descrivono una sorta di coreografia di cosa sia l’incontro, la curiosità per l’altro. Questo è politica – osserva ancora il card. Tolentino de Mendonça – perché è pensare l’organizzazione della polis, del rapporto tra gli uomini, tra le culture, tra i popoli, è pensare un ordine del mondo veramente incentrato sul valore della persona umana e della dignità che noi celebriamo in ogni saluto». Di vero manifesto politico e poetico si tratta, dunque, e per il quale si avverte un bisogno epocale. Lo Studio Albori dedica questo lavoro a tutti i migranti, gli esiliati, i dimenticati, affinché la convivenza e la cura prevalgano oltre gli steccati, le diseguaglianze e l’indifferenza.

Antonella Palermo
Giornalista