Don Milani: innovatore, maestro, anticipatore

In occasione del centenario della nascita di don Lorenzo Milani (Firenze, 27 maggio 1923) Luigi Accattoli ha preso la parola ieri a Nocera Umbra, presso la Biblioteca Pervissani, nel corso dell’incontro «Don Milani un profeta inquieto», organizzato dal Comune, dalla Parrocchia e dal Polo liceale G. Mazzantini di Gubbio. Riprendiamo dal blog di Luigi Accattoli l’intero testo del suo intervento. (G. Mc.).

Nella crisi educativa

Se volessimo stringere a un solo tema la sua molteplice profezia penso che potremmo dire che egli ha avvertito in anticipo la crisi educativa che oggi è sotto gli occhi di tutti. Don Milani è stato dunque un anticipatore nell’avvertenza della crisi o sfida dell’educazione nel senso pieno, epocale, del termine: educazione alla parola, alla vita, alla pace. L’avverte già – questa sfida – nel 1947 a San Donato di Calenzano, dove viene mandato come viceparroco e dove subito apre una scuola serale. Inizia ad avvertire dunque come centrale la sfida educativa del nostro tempo già prima che il nostro tempo inizi a dispiegarsi: prima del boom economico, prima dell’arrivo della televisione. Prima – potremmo dire – della nostra stagione storica.

Scelgo dunque questa chiave di lettura e la uso come una lente con la quale mettere a fuoco quattro facce del profeta don Milani: il prete innovatore del rapporto con il suo popolo, il prete che si fa maestro, l’anticipatore del Concilio, la sua attualità riconosciuta da papa Francesco con la visita a Barbiana del 2017.

 

Prete con il popolo della parrocchia

Prete innovatore del rapporto con il popolo della parrocchia: è giusto che questo aspetto sia considerato per primo. Disse la mamma di don Milani (Alice Weiss, ebrea triestina), intervistata da Nazareno Fabbretti a tre anni dalla morte del figlio: «Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui… quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio… Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità» (Il Resto del Carlino, 8.7.1970).

 

Compie la scelta dei poveri

Prete innovatore e anche prete politico che compie la scelta dei poveri: due ragioni di incomprensione con la Chiesa di prima del Concilio. La sua ansia religiosa lo fa prete, le circostanze pastorali lo fanno maestro, la scuola lo fa politico. Don Milani era considerato quasi un comunista dalla curia fiorentina e da quella vaticana degli anni Cinquanta che ne censurarono l’opera maestra Esperienze pastorali (1958), imponendone il ritiro dal commercio otto mesi dopo la pubblicazione.

Ma don Milani non subì soltanto l’accusa di comunismo: fu anche sostenitore dell’obiezione di coscienza al servizio militare e per la «Lettera ai cappellani militari» (22.2.1965) in cui affermò quell’opinione fu processato per apologia di reato. Assolto in primo grado nel febbraio del 1966, condannato in appello nell’ottobre del 1967, quattro mesi dopo la morte, con l’annotazione che «il reato è estinto per la morte del reo». I suoi testi sull’argomento, raccolti nel volumetto L’obbedienza non è più una virtù (1965), fecero epoca. Il titolo viene da questo passaggio del memoriale difensivo che don Milani aveva consegnato al tribunale nella prima udienza del processo (30.10.1965): «Occorre oggi avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni».

 

Maestro di scuola

Il prete che si fa maestro prima di scuola serale e poi di scuola plenaria: siamo alla seconda faccia del nostro profilo di don Milani. Questo prete che si dedica all’insegnamento porta nell’impegno educativo la carica di assoluto, di profezia, di intransigenza che aveva maturato nella propria conversione religiosa. Così scrive in una lettera a don Ezio Palombo: «Ponete in alto il cuore vostro e fate che sia come una fiaccola che arde. Io penso che su questo punto non bisogna avere pietà, di nessuno. La mira altissima, addirittura disumana (perfetti come il Padre!) e la pietà, la mansuetudine, il compromesso paterni, la tolleranza illuminata solo per chi è caduto e se ne rende conto e chiede perdono e vuol riprovare da capo a porre la mira altissima» (lettera del 25.3.1955).

La stessa scelta di fare scuola viene da un’esigenza pastorale, un’esigenza del prete che è. Scrive in Esperienze pastorali: «Ho iniziato il mio apostolato facendo scuola perché come parroco ho l’incarico di predicare il Vangelo. I miei parrocchiani non mi intendevano perché non erano capaci di un discorso lungo e complesso, di una lingua sufficiente per ricevere le spiegazioni del Vangelo. Allora ho fatto scuola per eliminare il problema della lingua. Poi alla fine è successo che mi sono innamorato di loro e mi è cominciato a stare a cuore tutto quello che sta a cuore a loro e tutto quello che per loro è bene.»

«Chiamo uomo chi è padrone della sua lingua» diviene un motto della sua attività di prete e di maestro: «Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e religiosa».

«Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli»: questo brano di Lettera a una professoressa sarà proposto come tema per la maturità del liceo classico nel luglio del 1976.

Il tempo pieno e l’anno pieno, l’assenza di vacanze, il superamento della lezione frontale, la lettura quotidiana del giornale, il richiamo alla Costituzione e ai fatti concreti della vita, la scrittura collettiva: il metodo della Scuola di Barbiana trova espressione nel volumetto Lettera a una professoressa, che viene pubblicato nel maggio del 1967, un mese prima della morte di don Lorenzo.

 

Anticipatore del Concilio

Non ho conosciuto don Milani da vivo ma la sua viva parola era già con me quand’egli morì. A rimedio della mancata conoscenza, a un anno dalla sua partenza sono salito a Barbiana a vedere il luogo della scuola e la tomba, in una specie di pellegrinaggio con altri giovani della FUCI nella quale militavo, come allora si diceva.

Noi fucini eravamo affascinati dalla diversità di don Milani rispetto a ogni altra nostra frequentazione in quegli anni inquieti del primo dopo Concilio. Don Lorenzo nei suoi testi non parla quasi mai del Vaticano II, il suo linguaggio resta tridentino, sostanzialmente legato al tema del peccato, dei sacramenti, della vita eterna. Ma la sua lotta a fianco dei poveri, la sua rivendicazione del diritto all’obiezione di coscienza, la sua libertà di parola ci travolgevano.

Don Milani e il Concilio è un volumetto EDB pubblicato nel 2019 dall’arcivescovo di Modena Erio Castellucci, che conclude qualificando don Milani come «uno dei precursori o degli interpreti del Concilio». Precursore in materia di accesso di tutti i battezzati alla Scrittura, di libertà di coscienza, di pedagogia della pace, di impegno della Chiesa per i poveri, di lettura dei segni dei tempi. Ecco un passaggio della Lettera ai giudici nel quale infine si avverte un’assimilazione – da parte di don Milani – dello spirito e persino del linguaggio del Vaticano II: «Il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in modo confuso».

 

Onorato da Francesco…

Riprendendo oggi in mano i testi di don Milani, colpisce a ogni pagina la parziale ma provocante somiglianza a papa Francesco. Una somiglianza che ci aiuta a intendere come venisse da lontano e avesse la forza per andare al largo quella sua tenace identità di prete in talare, tradizionale e rivoluzionaria a un tempo. Proprio come ci sorprende, antica e nuova, la pedagogia ignaziana del papa gesuita.

Li avvicina la severità della vita, l’avversione alle vacanze, il primato dell’impegno educativo. «Il sapere serve solo per darlo», diceva don Milani. «Il sale della vita cristiana è per offrirlo», dice Francesco.

Li accomuna l’anti-intellettualismo. «Il mondo ingiusto l’hanno da raddrizzare i poveri» affermava il priore di Barbiana. «I poveri vogliono essere protagonisti» sentenzia Francesco. «Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola» diceva l’uno. «È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare dai poveri» proclama l’altro. «Non dobbiamo aver paura di sporcarci» dice il primo, e l’altro: «È difficile fare del bene senza sporcarsi le mani».

Li unisce la scelta dei poveri. Don Milani non usa questa espressione ma ne ha un’altra equivalente: «A venti anni decisi di stare con i poveri». La parola Vangelo li calamita entrambi e le pagine che ambedue citano più di frequente sono le Beatitudini e la parabola del Giudizio di Matteo 25.

Appare dunque ragionevole che il superamento tardivo della censura ecclesiastica di Esperienze pastorali sia avvenuto anche per interessamento del papa delle periferie.

 

…e proposto a modello

Nel novembre del 2013 il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, invia al papa una documentazione sulla vicenda di quel volume ancora «sotto la proibizione di stampa e di diffusione». Francesco passa il dossier alla Congregazione per la dottrina della fede e questa comunica al cardinale che «non c’è stato mai nessun decreto di condanna». Ci fu soltanto «una comunicazione all’arcivescovo di Firenze nella quale si suggeriva di ritirare dal commercio il libro e di non ristamparlo o tradurlo». Ma oggi «le circostanze sono mutate e pertanto quell’intervento non ha più ragione di sussistere». Conviene dunque «riprendere in mano» il volume e «confrontarsi» con esso, conclude il cardinale in un’intervista dell’aprile 2014 a Toscana Oggi.

Verrebbe da osservare che confrontarsi con Esperienze pastorali sarebbe stato provvidenziale nel 1957, quando il volume fu pubblicato e ritirato, ma oggi è forse un’operazione accademica. Il senatore Pietro Ichino (discepolo laico di don Milani) ha raccontato il 18 aprile 2014 sul Corriere della Sera l’influenza che esercitò su di lui, nella prima giovinezza, don Milani, spesso ospite in casa Ichino a Milano, e ha concluso così la rievocazione della «reticente» correzione ecclesiastica della messa al bando di Esperienze pastorali: «Spero che da papa Francesco, maestro di umiltà per la Chiesa, venga il riconoscimento esplicito che la condanna di allora fu un grave errore».

Quel riconoscimento è arrivato con la visita di Francesco a Barbiana, alla tomba di don Milani, il 20 giugno 2017, quando da «vescovo di Roma» ha affermato che «la Chiesa riconosce nella vita di don Lorenzo Milani un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa».

Luigi Accattoli

Vaticanista

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Share via
Copy link
Powered by Social Snap