In occasione della 77a Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, il papa ha incontrato due volte i vescovi italiani: in apertura, lunedì 22, con un saluto pubblico e poi un dialogo a porte chiuse; e poi giovedì 25, concedendo un’udienza ai vescovi che avevano aperto l’Assemblea anche ai membri del Comitato nazionale (di cui ancora non sono noti i nomi) e ai referenti diocesani del Cammino sinodale italiano. Potremmo qualificare questo secondo incontro con le «consegne del papa» al Cammino sinodale italiano.

Tagliato sull’Italia

Riportiamo con qualche sottolineatura alcuni stralci del discorso che il papa ha rivolto a tutti i partecipanti perché è molto tagliato sull’esperienza della Penisola (il testo integrale si trova qui)

Il cammino sinodale – dice il papa – è «un’esperienza spirituale unica, di conversione e di rinnovamento, che potrà rendere le vostre comunità ecclesiali più missionarie e più preparate all’evangelizzazione nel mondo attuale». In particolare, «adesso si fa un Sinodo per dire cosa sia la sinodalità, che come sappiamo non è cercare le opinioni della gente e neppure un mettersi d’accordo, è un’altra cosa».

 

Primo, proseguire nel cammino

E all’Italia Francesco lascia alcune consegne: «La prima consegna: continuate a camminare. Si deve fare. Mentre cogliete i primi frutti nel rispetto delle domande e delle questioni emerse, siete invitati a non fermarvi. La vita cristiana è un cammino. Continuate a camminare, lasciandovi guidare dallo Spirito». Qui rievoca il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (correva l’anno 2015), quando ci fu il primo sprone ufficiale del pontefice a incamminarsi sulla via sinodale.

In quel discorso il papa indicava «nell’umiltà, nel disinteresse e nella beatitudine tre tratti che devono caratterizzare il volto della Chiesa (…) Una Chiesa sinodale è tale perché ha viva consapevolezza di camminare nella storia in compagnia del Risorto, preoccupata non di salvaguardare sé stessa e i propri interessi, ma di servire il Vangelo in stile di gratuità e di cura, coltivando la libertà e la creatività proprie di chi testimonia la lieta notizia dell’amore di Dio rimanendo radicato in ciò che è essenziale. Una Chiesa appesantita dalle strutture, dalla burocrazia, dal formalismo faticherà a camminare nella storia, al passo dello Spirito, rimarrà lì e non potrà camminare incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo».

 

Secondo, il popolo di Dio

«La seconda consegna è questa: fare Chiesa insieme. È un’esigenza che sentiamo urgente, oggi, sessant’anni dopo la conclusione del Vaticano II. Infatti, è sempre in agguato la tentazione di separare alcuni “attori qualificati” che portano avanti l’azione pastorale, mentre il resto del popolo fedele rimane “solamente recettivo delle loro azioni” (Evangelii gaudium, n. 120). Ci sono i “capi” di una parrocchia, portano avanti le cose e la gente riceve soltanto quello. La Chiesa è il santo popolo fedele di Dio e in esso, “in virtù del battesimo ricevuto, ogni membro (…) è diventato discepolo missionario” (ivi). Questa consapevolezza deve far crescere sempre più uno stile di corresponsabilità ecclesiale: ogni battezzato è chiamato a partecipare attivamente alla vita e alla missione della Chiesa, a partire dallo specifico della propria vocazione». Una consapevolezza che deve nascere innanzitutto nei ministri ordinati, sottolinea il papa: «Questo vale per i vescovi, il cui ministero non può fare a meno di quello dei presbiteri e dei diaconi; e vale anche per gli stessi presbiteri e diaconi, chiamati a esprimere il loro servizio all’interno di un noi più ampio, che è il presbiterio. Ma questo vale anche per l’intera comunità dei battezzati, nella quale ciascuno cammina con altri fratelli e altre sorelle alla scuola dell’unico Vangelo e nella luce dello Spirito».

 

Terzo, aprirsi

«La terza consegna: essere una Chiesa aperta. Riscoprirsi corresponsabili nella Chiesa non equivale a mettere in atto logiche mondane di distribuzione dei poteri, ma significa coltivare il desiderio di riconoscere l’altro nella ricchezza dei suoi carismi e della sua singolarità. Così, possono trovare posto quanti ancora faticano a vedere riconosciuta la loro presenza nella Chiesa (…) Ma ricordiamocelo: la Chiesa deve lasciar trasparire il cuore di Dio: un cuore aperto a tutti e per tutti». 

Giovani, donne, poveri, delusi, feriti e arrabbiati con la Chiesa, elenca il papa. «Fino a quando la loro presenza resterà una nota sporadica nel complesso della vita ecclesiale, la Chiesa non sarà sinodale, sarà una Chiesa di pochi (…) A volte si ha l’impressione che le comunità religiose, le curie, le parrocchie siano ancora un po’ troppo autoreferenziali. E l’autoreferenzialità è un po’ la teologia dello specchio: guardarsi allo specchio, maquillage, mi pettino bene… È una bella malattia questa, una bella malattia che ha la Chiesa: autoreferenziale, la mia parrocchia, la mia classe, il mio gruppo, la mia associazione…

Sembra che s’insinui, un po’ nascostamente, una sorta di “neoclericalismo di difesa” – il clericalismo è una perversione, e il vescovo, il prete clericale è perverso, ma il laico e la laica clericale lo sono ancora di più: quando il clericalismo entra nei laici è terribile! –: il neoclericalismo di difesa generato da un atteggiamento timoroso, dalla lamentela per un mondo che “non ci capisce più”, dove “i giovani sono perduti”, dal bisogno di ribadire e far sentire la propria influenza – “ma io farò questo…”».

Di fronte all’apparente fallimento di alcune azioni pastorali, non è quindi giustificato il ritiro in piccole comunità elitarie.

In questo senso il «Sinodo ci chiama a diventare una Chiesa che cammina con gioia, con umiltà e con creatività dentro questo nostro tempo, nella consapevolezza che siamo tutti vulnerabili e abbiamo bisogno gli uni degli altri. E a me piacerebbe che in un percorso sinodale si prendesse sul serio questa parola, “vulnerabilità”, e si parlasse di questo, con senso di comunità, sulla vulnerabilità della Chiesa».

Tema che subito ne chiama un altro: quello delle violenze e di chi è vulnerabile di fronte alle perverse capacità seduttive di alcuni membri della comunità ecclesiale: la recentissima vicenda di Tivoli lo testimonia ancora una volta. In questo testo il papa non cita tale, ma esso è presente nel Documento di sintesi della fase d’ascolto italiana, anche se non nel testo per l’anno pastorale in corso I Cantieri di Betania.

 

Quarto, inquieti e disordinati

Il papa poi cita l’esperienza della sinodalità vissuta in carcere e inserisce un’ultima consegna: «Essere una Chiesa “inquieta” nelle inquietudini del nostro tempo. Siamo chiamati a raccogliere le inquietudini della storia e a lasciarcene interrogare, a portarle davanti a Dio, a immergerle nella Pasqua di Cristo (…) Formare dei gruppi sinodali nelle carceri vuol dire mettersi in ascolto di un’umanità ferita, ma, nel contempo, bisognosa di redenzione (…) Per un detenuto, scontare la pena può diventare occasione per fare esperienza del volto misericordioso di Dio, e così cominciare una vita nuova.

E la comunità cristiana è provocata a uscire dai pregiudizi, a mettersi in ricerca di coloro che provengono da anni di detenzione, per incontrarli, per ascoltare la loro testimonianza, e spezzare con loro il pane della Parola di Dio. Questo è un esempio di inquietudine buona – ha detto Francesco –, esperienza di una Chiesa che accoglie le sfide del nostro tempo, che sa uscire verso tutti per annunciare la gioia del Vangelo».

Nella parte dedicata ai ringraziamenti il papa ha fatto poi cenno al fatto che l’intero processo sinodale possa apparire una cosa «disordinata». Ma «pensate – ha aggiunto – al processo degli apostoli la mattina di Pentecoste: quella mattina era peggio! Disordine totale! E chi ha provocato quel “peggio” è lo Spirito: lui è bravo a fare queste cose, il disordine, per smuovere… Ma lo stesso Spirito che ha provocato questo ha provocato l’armonia. Entrambe le cose sono fatte dallo Spirito (…) Non bisogna avere paura quando ci sono disordini provocati dallo Spirito; ma averne paura quando sono provocati dai nostri egoismi o dallo spirito del male. Affidiamoci allo Spirito Santo. Lui è l’armonia».

Maria Elisabetta Gandolfi

Maria Elisabetta Gandolfi

Caporedattrice Attualità per “Il Regno”

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