In effetti, se fossi una tradizionalista sarei preoccupata per l’impianto teologico che questo Instrumentum laboris presentato il 20 giugno scorso offre all’Assemblea generale del prossimo ottobre. Nel cantiere della Chiesa sinodale aperto da papa Francesco esso costituisce certamente la road map meglio articolata e completa che sinora sia stata prodotta e occorre riconoscere che il gruppo che l’ha preparata, vagliando e mettendo a confronto il ricco materiale arrivato da ogni angolo della terra, difficilmente potrà essere accusato di non aver preso posizione.
Certamente questo è solo un documento di lavoro, un ricco e ragionato indice dei temi: starà ai sinodali e poi al papa decidere effettivamente quelli a cui dare la priorità e se e con quali strutture dar loro corpo.
È un Vaticano III, come qualcuno ha detto? Sì e no. Sì, perché sicuramente il Vaticano II è fondamento solido verso una maturazione ulteriore di quel riferimento soprattutto per quanto riguarda lo stile ecclesiale. No, perché, appunto, questa è solo una tappa del lungo, lunghissimo percorso sinodale.
Non mi pare neppure che il testo possa essere accusato d’essere un mero contenitore di tutti i temi e del loro contrario – in un passato recente, pensiamo ai due Sinodi sulla famiglia, si sono visti ben altri testi preparatori.
Qui la prospettiva, da un lato, dell’ascolto e della prima discussione nei diversi continenti è ben sintetizzata in tutte le sue luci e ombre; dall’altro lato la prospettiva dell’interrogarsi di una comunità ecclesiale universale sul suo futuro, in un mondo interconnesso eppure così diviso, è chiara e onesta.
Anche perché non pretende d’essere l’unica possibile.
La struttura: prima una sintesi…
Il testo si presenta innanzitutto con una breve sintesi del percorso fatto e alcune sottolineature di fondo: oltre alle grandi sfide della pace, dello sviluppo equo, della preservazione della casa comune, la sfida della «secolarizzazione sempre più spinta, e talora aggressiva, che sembra ritenere irrilevante l’esperienza religiosa», e «la crisi degli abusi: sessuali, di potere e di coscienza, economici e istituzionali», che colpisce «in molte regioni le Chiese», sono «ferite aperte, le cui conseguenze non sono ancora state affrontate fino in fondo» (n. 4).
La «cattolicità della Chiesa, che, nelle differenze di età, sesso e condizione sociale, manifesta una straordinaria ricchezza di carismi e vocazioni ecclesiali e custodisce un tesoro di varietà di lingue, culture, espressioni liturgiche e tradizioni teologiche», porta a interrogarsi su come compiere un discernimento «sulla base della comune eredità della tradizione apostolica». Spesso vi sono «tensioni» (n. 6; termine piuttosto ricorrente).
…poi le due sezioni
Poi il testo è suddiviso in due sezioni. «La sezione A, intitolata “Per una Chiesa sinodale”, prova a raccogliere i frutti della rilettura del cammino percorso. Innanzi tutto enuclea una serie di caratteristiche fondamentali o segni distintivi di una Chiesa sinodale [e di] un modo di procedere (…) la conversazione nello Spirito».
«La sezione B, intitolata “Comunione, missione, partecipazione”, esprime in forma di interrogativo le tre priorità che con maggiore forza emergono dal lavoro di tutti i continenti (…) Per ciascuna di queste tre priorità sono proposte 5 schede di lavoro che consentono di affrontarle» nella discussione assembleare o dei circuli minores. 1 Da notare: l’ordine delle tre priorità è ora scambiato (prima erano «comunione, partecipazione e missione») perché è venuta maturando l’idea che sia necessario «superare una concezione dualista in cui i rapporti interni alla comunità ecclesiale sono il dominio della comunione, mentre la missione riguarda lo slancio ad extra. La prima fase ha invece messo in evidenza come la comunione sia la condizione di credibilità dell’annuncio, recuperando in questo un’intuizione della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”» (n. 44).
Com’è una Chiesa sinodale?
Passo in rapida rassegna le caratteristiche della Chiesa sinodale per far capire – più seriamente – il senso del mio incipit.
La Chiesa sinodale «si fonda sul riconoscimento della dignità comune derivante dal battesimo, che rende coloro che lo ricevono figli e figlie di Dio, membri della sua famiglia, e quindi fratelli e sorelle in Cristo, abitati dall’unico Spirito e inviati a compiere una comune missione» (n. 20). Certo, tutto questo deve poi tradursi in «istituzioni, strutture e procedure» (n. 21).
È una Chiesa dell’ascolto, innanzitutto «della Parola», poi degli «eventi della storia» e di quanto tutti i suoi membri possono apportare (n. 22); è «umile e sa di dover chiedere perdono e di avere molto da imparare», passaggio dove nuovamente si fa riferimento alla crisi di credibilità legata agli abusi sessuali e non solo (n. 23); è una Chiesa «dell’incontro e del dialogo (…) con le altre Chiese e comunità ecclesiali alle quali siamo uniti dal vincolo dell’unico battesimo» (n. 24; l’intera scheda B 1.4 è dedicata al dialogo ecumenico) e con le altre religioni e culture delle «società in cui è inserita» (n. 25).
Avremo dei minority report?
Non ha «paura della varietà di cui è portatrice, ma la valorizza senza constringerla all’uniformità» (ivi); è «aperta, accogliente e abbraccia tutti» (n. 26; nella sezione B l’elenco è completo).
È sinodale la Chiesa che «affronta onestamente e senza paura la chiamata a una comprensione più profonda del rapporto tra amore e verità» (n. 27); che è capace di «gestire le tensioni senza esserne schiacciata» (n. 28) e di vivere «con la sana inquietudine dell’incompletezza, con la consapevolezza che ci sono ancora molte cose di cui non siamo in grado di portare il peso» (n. 29; corsivo mio).
Naturalmente tutto questo va posto al centro «del mistero che celebra nella liturgia (…) “la fonte da cui promana tutta la sua energia”» (n. 30) e all’interno di un processo di discernimento, aperti all’«azione dello Spirito, che ci invita a riconoscere i segni della sua presenza» (n. 31).
Anche per questo «il processo sinodale costituisce lo spazio entro il quale diventa praticabile il modo evangelico d’affrontare questioni che spesso vengono poste in chiave rivendicativa o per le quali nella vita della Chiesa di oggi manca un luogo d’accoglienza e discernimento» (17).
Per ora le rivendicazioni di chi non si sente rappresentato da questo stile hanno invece preso la strada dei social. Vedremo a ottobre se accetteranno di stare dentro all’Assemblea anche solo per mettere agli atti il proprio minority report.

Maria Elisabetta Gandolfi
Caporedattrice Attualità per “Il Regno”