Il Dicastero per la cultura e l’educazione nega il «nihil obstat» per l’elezione a preside del prof. Martin Lintner, contraddicendo lo spirito del Sinodo ma anche quello di Amoris laetita e di Veritatis gaudium. Una sfida che lascia intravedere scenari irriconciliati sulla sessualità non meno che sulla dinamica sinodale. Non può tuttavia far tacere la riflessione né rendere vana la speranza.
Mi è capitato sovente di indicare come fantasmi i timori per le censure della vecchia curia romana, e ancora di più ne ero convinta adesso, con la sua riforma (costituzione apostolica Praedicate Evangelium). Devo ammettere che il fantasma, proprio come nei tempi di più buia censura, ha invece trovato carne sufficiente per firmare un provvedimento che sta suscitando scalpore e ricevendo molte risposte.
La vicenda è questa. Il 22 novembre scorso il collegio dei docenti dello Studio teologico accademico di Bressanone ha eletto come preside il professor Martin Lintner, docente di teologia morale, già presidente della Società europea di teologia cattolica (2013-2015), della Rete internazionale delle società di teologia cattolica (2014-2017) e dell’Associazione internazionale di teologia morale ed etica sociale (2017- 2021), membro del Comitato etico della provincia di Bolzano, autore di numerosi studi nonché religioso dell’ordine dei Servi di Maria.
Questo preside non s’ha da fare…
Gli statuti prevedono comunque l’approvazione, ancora chiamata «nihil obstat», da parte del Dicastero vaticano per la cultura e l’educazione (gemmato dalla precedente Congregazione per l’educazione cattolica), che deve essere comunicata al vescovo della diocesi nonché gran cancelliere dell’istituzione teologica interessata – in questo caso, mons. Ivo Muser. La lettera giunta è riservata, ma le colleghe e colleghi dello Studio teologico hanno diffuso un comunicato stampa nel quale fanno sapere che la nomina non è stata approvata ed esprimono il loro dissenso, la volontà di giungere a un chiarimento e la piena solidarietà al collega.
Forse nello scritto segreto ci saranno sfumature e giri di parole ad accompagnare la sanzione, ma la cosa è già tristemente e sufficientemente chiara, nel suo oscurantismo. Lintner, noto per la profondità del suo pensiero e per la dimensione radicale di pace che lo attraversa, ha comunicato la sua decisione di non fare ricorso, condivisa dal vescovo Muser, il quale contestualmente comunica, sobriamente, anche le motivazioni del diniego vaticano: gli scritti di Lintner sulla sessualità.
…o sono certi metodi che devono finire?
Roma locuta, causa finita? Assolutamente no! Certo, in primo luogo per la stima rinnovata a Martin Lintner e per la solidarietà nei suoi confronti. Ma c’è di più, perché ne va di tutte e tutti noi: provo a elencarne alcune ragioni.
• In primo luogo, ne va della speranza di studentesse e studenti di teologia a cui proponiamo percorsi seri e documentati, ma aperti alla riflessione, alle domande, all’ermeneutica rinnovata che la realtà ci invita a mettere in atto. Questa è forse la ferita più grande che causa questo provvedimento: un recente intervento di padre Martin aveva come tema proprio «Inclusione: vulnerabilità e relazionalità», e andrebbe attentamente meditato.
Ancora una volta la sessualità
• In secondo luogo, ferisce la motivazione fatta intravedere, come quando nel flamenco la ballerina alza appena un attimo la gonna: è ancora una volta la sessualità. Quale e come? Il gesto appena accennato non dice altro, forse nella speranza irragionevole che «non vi leggiamo avanti». Ma non è questo il caso, non lo è più.
Numinosamente e minacciosamente si allude a che? Divorziati risposati, coppie omoaffettive? Forse. Comunque si sa, la lingua batte dove il dente duole, e anche nel Cammino sinodale tedesco il testo sulla sessualità era stato bocciato. Siamo ancora lì, ma non possiamo rimanerci, perché ci sono troppe cose che vanno nuovamente considerate, con la pacatezza e la profondità che ha sempre contraddistinto Lintner, certo, ma anche con estrema decisione.
Invece dell’ascolto
• Un’altra ferita riguarda proprio la sfida che questo provvedimento lancia al Sinodo in corso: censura invece di ascolto, potere segretato invece di dialogo, pensiero rigido invece di audacia della riflessione, sfiducia lanciata non solo contro un singolo, ma contro un’intera comunità di teologhe e teologi – quelli di Bressanone, certo, ma già giungono i documenti tedeschi, della Associazione internazionale di teologia morale e etica sociale e della Associazione delle facoltà cattoliche di teologia.
Una parola dopo l’altra, una goccia dopo l’altra, diventano un fiume, il fiume un mare.
Duplicità di forme
• Infine, ferisce il dubbio, purtroppo non nuovo, sulla perniciosa duplicità delle forme, quella affabile del discorso pubblico sulla riforma del cuore e quella pietrosa della irreformabilità (presunta) delle cosiddette dottrine: può reggere a lungo un sistema del genere? Non credo proprio, non è un sistema buono e non è neppure corretto.
Per questo, con queste poche righe, un’altra pagina e una nuova goccia, perché non accada più che parole suadenti di miele avvolgano pugni di ferro: la nostra Chiesa, pur ospedale da campo, merita di meglio.
Da Il Regno delle Donne

Cristina Simonelli
Teologa
San Giovanni Paolo II scriveva: «In contrasto con l’insegnamento dei Pastori, non si può riconoscere una legittima espressione né della libertà cristiana né della diversità dei doni dello Spirito. missione apostolica, esigendo che sia sempre rispettato il diritto dei fedeli a ricevere la dottrina cattolica nella sua purezza e integrità: il teologo, non dimenticando mai di essere anch’egli membro del Popolo di Dio, deve rispettarlo e impegnarsi a dispensare una dottrina che in nessun modo nuoce alla dottrina della fede» (S. Giovanni Paolo II: Enciclica Veritatis splendor n. 113). La posizione del Dicastero di Roma è legittima perché prevista dalla legislazione della Santa Sede. Pertanto, non vedo alcuna ingiustizia nella posizione della Santa Sede, che ha esercitato il suo diritto e dovere di promuovere e proteggere la dottrina della Chiesa attraverso un giudizio magistrale. Negarlo significherebbe ignorare la missione del Magistero che, accettando la collaborazione dei teologi, esercita liberamente il suo compito esclusivo di interpretare la Parola di Dio (Concilio Vaticano II: Dei Verbum, 10; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 85 ). “Gli interventi del Magistero servono a garantire l’unità della Chiesa nella verità del Signore. Aiutano a “rimanere nella verità” di fronte ad arbitrari mutamenti di opinione, e sono l’espressione dell’obbedienza alla Parola di Dio Anche quando sembra limitare la libertà dei teologi, essi stabiliscono, mediante la fedeltà alla fede trasmessa, una libertà più profonda che può nascere solo dall’unità nella verità» (Santa Sede: Istruzione Donum veritatis n. 35, sulla vocazione ecclesiale del teologo). Non esiste autentica libertà teologale in opposizione alla dottrina della Chiesa. “Vien detta eresia, l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti” (Can. 751).