Analizziamo il capitolo sulla missione dell’Instrumentum laboris, dove, con una certa sorpresa, troviamo il tema del ruolo dei laici, delle donne, dei preti e dei vescovi e di come questi soggetti interagiscono (o dovrebbero/potrebbero interagire) tra loro in una Chiesa sinodale, che è l’obiettivo finale.
Dal terzo al secondo posto
Il secondo gruppo tematico (B 2; per il primo cf. qui) dell’Instrumentum laboris, che raccoglie quanto emerso nella fase d’ascolto, riguarda il tema della missione.
Di fatto qui si è cambiato l’ordine delle tre parole del sottotitolo dell’Assemblea sinodale, che inizialmente era: «comunione, partecipazione e missione», mettendo al secondo posto la missione. Questo perché è venuta maturando l’idea che sia necessario «superare una concezione dualista in cui i rapporti interni alla comunità ecclesiale sono il dominio della comunione, mentre la missione riguarda lo slancio ad extra. La prima fase ha invece messo in evidenza come la comunione sia la condizione di credibilità dell’annuncio, recuperando in questo un’intuizione» – afferma il n. 44 – del Sinodo dei giovani, celebrato nel 2018.
Innanzitutto: che cos’è la missione?
A questo tema sono dedicati i 5 sotto-paragrafi che qui descriveremo per rapidi cenni.
Se (B 2.1) «la sinodalità è costitutivamente missionaria e la missione stessa è azione sinodale», occorre – si dice – mantenere assieme 4 dimensioni: liturgia, vicinanza a chi soffre, apertura di «luoghi di servizio gratuito», ambienti digitali.
Per la prima, si dice che la liturgia deve essere oggetto di un necessario «rinnovamento» e luogo di «unità e varietà» allo stesso tempo. Come sappiamo, questione calda in alcune regioni ecclesiali.
La seconda apre a un tema forse apparentemente scontato, nel senso che è ovvio che la Chiesa tutta si deve fare prossima con chi soffre; ma meno, in realtà, laddove con una perifrasi «si richiamano le situazioni in cui la Chiesa provoca ferite e quelle in cui le subisce»: qui chiaramente sono compresi anche i casi di violenze sessuali e abusi.
Francamente meno chiaro appare – a chi scrive – in che cosa consistano i «luoghi di servizio gratuito (…) per opporsi profeticamente a nuovi e distruttivi colonialismi».
L’ultima dimensione, quella dell’ambiente digitale, è invece un ambito su cui la Chiesa sta investendo, arrivando, in questo Sinodo in particolare, a creare un «Sinodo digitale» quasi trasversale nei tempi e nei modi a quello che si svolge «in presenza» nei vari angoli del mondo.
Chiude il primo paragrafo la constatazione, che forse potrebbe stare all’inizio, su una richiesta emersa dalle assemblee continentali: la mancanza di chiarezza e di una comprensione condivisa del significato, della portata e del contenuto della missione della Chiesa.
Sulla ministerialità
Il secondo paragrafo sulla Chiesa missionaria unisce a questo primo aggettivo anche un secondo: ministeriale; anzi, «tutta ministeriale».
Il tema è emerso con forza da tutti i continenti, con l’«urgenza» di un discernimento sui carismi emergenti e sulle forme appropriate d’esercizio dei ministeri battesimali all’interno del popolo di Dio.
Concretamente: si dice (B 2.2) che i membri «attivi» della Chiesa non sono solo i ministri ordinati e in subordine i laici (è scritto «battezzati», ma pazienza!). Il riconoscimento del Vaticano II e della dignità battesimale come fondamento della partecipazione alla vita della Chiesa sono dati ovvi.
Si dice anche è la Chiesa locale il luogo principale del discernimento dell’articolazione tra sacerdozio comune e ministeriale, «individuando (…) i ministeri battesimali necessari alla comunità», senza per questo fare una Chiesa «tutto di ministeri istituiti».
Argomento complesso e, potenzialmente, incandescente.
Sulle donne
Il terzo paragrafo (B 2.3) entra sul tema della donne la cui dignità battesimale deve diventare prassi concreta se si vuole che la Chiesa compia al meglio la propria missione. Non si tratta di una questione di rivendicazioni.
Si registrano però «differenze delle prospettive di ciascun continente», anche se tutti concordano che il loro apporto come evangelizzatrici e formatrici alla fede è fondamentale.
I «fallimenti relazionali» tra uomini e donne nella Chiesa «sono anche fallimenti strutturali» che colpiscono la vita delle donne e la Chiesa stessa. Ma occorre non «trattare le donne come gruppo omogeneo o un argomento di discussione astratto o ideologico». Già.
Sui preti
Segue poi il paragrafo (B 2.4) dedicato al rapporto tra ministero ordinato e battesimale, tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale: «Non c’è opposizione o competizione, o spazio per rivendicazioni: ciò che si chiede è di riconoscere la complementarietà».
Interessante il dato che si registra dalle assemblee continentali: spesso si fa «fatica [a] coinvolgere una parte dei presbiteri nel processo sinodale», in quanto paiono rifugiarsi «nell’ambito liturgico-sacramentale», vivendo però una sostanziale «solitudine».
Si nomina poi il «clericalismo» come piaga che riguarda non solo i preti, ma anche una fetta di laicato…
E infine si ritorna – qui in forma esplicita – «sullo scandalo degli abusi».
Sui vescovi
Infine i vescovi (B 2.5): si fa cenno al tema della collegialità episcopale e di come essa si possa esercitare in una Chiesa sinodale. Il vescovo nella propria diocesi «avvia, guida e conclude la consultazione del popolo di Dio» e i vescovi riuniti «esercitano insieme il carisma del discernimento». Anche qui ci sarebbe molto da osservare, anche alla luce di ciò che è avvenuto nelle passate Assemblee sinodali.
I vescovi devono poi promuovere «uno stile sinodale di Chiesa» che concretamente preveda «un più ampio coinvolgimento di tutti nel discernimento», cosa che implica «un ripensamento dei processi decisionali»; ciò potrà avvenire con «strutture di governo adeguate e ispirate a maggiore trasparenza e responsabilità».
Ma, come sappiamo – e il testo ne è consapevole –, vi sono «resistenze, timori o un senso di spaesamento». Infatti, vi è chi teme «una deriva ispirata ai meccanismi della democrazia politica».
Infine si ritorna al tema della collegialità il cui esercizio deve comunque essere ispirato a una «sana decentralizzazione», allo scopo di non andare a scalfire il compito di maestri e pastori che è proprio dei vescovi su tutte le questioni che, nella porzione di Chiesa loro affidata, non toccano la dottrina, la disciplina e la comunione della comunità ecclesiale universale.
Anche qui sarebbero possibili molte osservazioni, pensando ad esempio a ciò che è avvenuto con i tanti motu proprio emanati da papa Francesco, e in effetti nell’ultima delle «domande per il discernimento» del paragrafo ci si chiede: «Come sono chiamati a evolvere, in una Chiesa sinodale, il ruolo del vescovo di Roma e l’esercizio del primato?».
Il dibattito è servito.

Maria Elisabetta Gandolfi
Caporedattrice Attualità per “Il Regno”