La terza e ultima puntata di analisi dell’Instrumentum laboris della prossima Assemblea di ottobre (per la prima, cf. qui; per la seconda, cf. qui), prende in considerazione il tema della «partecipazione». Come nei precedenti due temi («comunione» e «missione»), sono 5 gli ambiti in cui viene declinato.

Esercitare l’autorità: chi e come

Innanzitutto l’ambito dell’esercizio «dell’autorità e della responsabilità» e della modalità con cui viene condotto (B 3.1 e B 3.2): che caratteristiche ha «in una Chiesa sinodale missionaria»? Chi sono i soggetti titolari di questo esercizio e come sono chiamati a esercitarlo?

Deve essere un «atteggiamento di servizio e non di potere o controllo, trasparenza, incoraggiamento e promozione delle persone, competenza e capacità di visione, di discernimento, di inclusione, di collaborazione e di delega. Soprattutto si sottolineano l’attitudine e la disponibilità all’ascolto».

Sono caratteristiche molto esigenti e che – dice il testo – suscitano «anche timori e resistenze». Per «questo è importante confrontarsi seriamente, con un atteggiamento di discernimento, con le acquisizioni più recenti delle scienze del management e della leadership» e fare riferimento alla metodologia della «conversazione dello Spirito» che è «indicata come una modalità di gestione dei processi decisionali e di costruzione del consenso capace di generare fiducia e favorire un esercizio dell’autorità appropriato a una Chiesa sinodale» (Regno-doc. 13,2023,411s).

Come tutto questo è legato in specifico al sacramento dell’ordine? Come far fronte al clericalismo di chierici e laici? Come declinare la partecipazione dei laici ai processi di scelta dei futuri vescovi?

Le domande non mancano. Ma se è vero che sembra complesso fare interagire la «dimensione sinodale» con quella «gerarchica», una volta che le decisioni vengono condivise in un processo sinodale «la comunità riesce più facilmente a riconoscerne la legittimità e ad accoglierle»; diversamente s’«indebolisce il ruolo dell’autorità, consegnandolo talvolta a un esercizio di affermazione del potere» (Regno-doc. 13,2023,413).

 

Occorrono forme strutturate

Inutile dire che se si rimane sui principi, tutto è lasciato alla discrezione dei singoli. Quindi c’è bisogno di una concretizzazione «in forme strutturate» (B 3.3), recepite anche dal diritto canonico, «con procedure adeguate: trasparenti, focalizzate sulla missione, aperte alla partecipazione, capaci di fare spazio alle donne, ai giovani, alle minoranze e ai poveri ed emarginati». E questo vale per ogni livello ecclesiale: dalla parrocchia alla diocesi, dalle associazioni o movimenti alle congregazione religiose.

Inoltre «la richiesta di una riforma di strutture e istituzioni e meccanismi di funzionamento nel senso della trasparenza è particolarmente forte nei contesti più segnati dalla crisi degli abusi (sessuali, economici, spirituali, psicologici, istituzionali, di coscienza, di potere, di giurisdizione)» (Regno-doc. 13,2023,414).

 

Le conferenze episcopali

«La questione dell’esercizio della sinodalità e della collegialità in istanze che coinvolgono gruppi di Chiese locali accomunate da tradizioni spirituali, liturgiche e disciplinari, da contiguità geografica e da prossimità culturale, a partire dalle conferenze episcopali, ha bisogno di una rinnovata riflessione teologica e canonica», si dice al punto B 3.4. Il tema non è nuovo e non è semplice (Regno-doc. 13,2023,415).

Secondo quanto affermato in Evangelii gaudium – citata subito dopo questa parte –: «Non è opportuno che il papa sostituisca gli episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”» (n. 16; EV 29/2122). Gli storici diranno se e quanto di questa affermazione programmatica si è arrivati a realizzare. Il conflitto con il Cammino sinodale tedesco si è per l’appunto svolto su questo snodo.

 

Il futuro del Sinodo e degli organismi partecipativi

L’ultimo ambito (B 3.5) riguarda quindi il futuro dell’assetto dell’istituto del Sinodo stesso, sia esso diocesano, nazionale o della Chiesa universale. In particolare in rapporto al munus e alla collegialità episcopale.

Il testo – prima di passare alle consuete domande – afferma: «L’esperienza sinodale fin qui vissuta ha mostrato anche come sia possibile sviluppare un esercizio effettivo della collegialità in una Chiesa sinodale: sebbene il discernimento sia un atto che spetta soprattutto “a chi nella Chiesa ha il compito di presiedere” (Lumen gentium, n. 12; EV 1/317), esso ha guadagnato in profondità e aderenza alle questioni da vagliare grazie al contributo degli altri membri del popolo di Dio che hanno preso parte alle assemblee continentali» (Regno-doc. 13,2023,417).

In altre parole, occorre stabilire come recepire ed elaborare quel patrimonio di riflessione e di domande emerse durante la fase di ascolto, ora, e durante i dibattiti delle assemblee sinodali, in passato. Come rafforzare il «legame fecondo tra il sensus fidei del popolo di Dio e la funzione di magistero dei pastori»? Come prevedere che anche i laici prendano parte alle riunioni delle conferenze episcopali o che sorgano altri organismi come la «Conferenza ecclesiale recentemente istituita per la Regione amazzonica?».

Gli elementi per la prossima Assemblea di ottobre, quindi, sono completati: temi, interrogativi e protagonisti. Alcune realtà ecclesiali stanno continuando l’approfondimento – come il CELAM –; altre – come la Conferenza episcopale italiana – proseguono il loro lento ma continuo percorso; altre ancora stanno in parallelo celebrando sinodi diocesani.

Maria Elisabetta Gandolfi

Maria Elisabetta Gandolfi

Caporedattrice attualità per “Il Regno”

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