La giustizia che rigenera
«La ricerca della giustizia è un’istanza radicale che accompagna le nostre esistenze individuali e l’evoluzione delle società in ogni tempo e in ogni luogo; tuttavia, ci sono dei momenti storici particolarmente densi, che potremmo definire di passaggio, nei quali si delinea o viene a maturazione un vero e proprio “salto di paradigma”». Così scrive la canonista Donata Horak sull’ultimo numero de Il Regno. «Il tempo che stiamo vivendo – prosegue – potrebbe segnare uno di questi cruciali passaggi, dal modello afflittivo-retributivo a quello riparativo-rigenerativo».
Che cosa cambia da un modello all’altro?
Tre libri presentati da Horak aiutano a dare una risposta. Il primo è La pazienza del vasaio, testo che «compendia la ricerca, l’insegnamento e l’esperienza di Emanuele Iula, gesuita, docente di Etica e mediazione dei conflitti presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale San Luigi di Napoli, nonché mediatore formato al Centre de médiation et de formation à la médiation di Parigi».
Il titolo «rimanda all’immagine di Geremia 18,1-10: il profeta viene chiamato a scendere nella bottega del vasaio, che con ogni cura dà forma ai suoi vasi e ripara quelli che si guastano, compiendo lo stesso gesto originale del Creatore. Così agisce Dio nei confronti del suo popolo: con pazienza e cura e ripara i cocci dell’alleanza tradita.
Quando i legami si spezzano, le persone chiedono di essere ri-parate (dal latino: tornare a essere pronte, ovvero capaci d’affrontare di nuovo la vita), ma nessuno può ripararsi da sé: la giustizia riparativa è resa possibile dalla relazione asimmetrica con il mediatore che fa da specchio al dolore che le persone in mediazione esprimono, ben al di là della ricostruzione fattuale a cui si limita la verità processuale».
Il secondo è un libro, a firma della stessa Horak, intitolato Ora i miei occhi ti vedono. Giustizia riparativa: itinerari biblici e mediazione umanistica. In esso l’autrice cerca di liberare «Dio dalle rigidità dello schema afflittivo-retributivo che viene ancora veicolato da certa teologia. Questa è l’esigenza all’origine del mio contributo, scritto con l’intenzione d’offrire a chi legge uno strumento agile e narrativo per sviluppare un’interpretazione della Scrittura scevra dal filtro del paradigma giustizialista. Mi sono mossa in punta di piedi, da canonista che s’addentra nel mondo della Bibbia, attingendo agli studi esegetici sui testi che utilizzano la metafora giudiziaria per parlare di Dio».
Per questo passa in rassegna due istituti giuridici presenti nella storia d’Israele, come il mishpat e il rib, per poi rileggere la vicenda di Giobbe: «Finché egli resta chiuso nello schema retributivo, non può che maledire la vita e il Creatore, perché i conti non tornano e non sembra esserci giustizia (…) Quando Dio rompe lo schema, accettando di entrare nel contenzioso, senza giustificarsi ma dandosi a conoscere come Dio della vita, della cura, della libertà, allora è ancora possibile per Giobbe amare la vita, accoglierla e aprirsi a un futuro. Giobbe non ritorna nella relazione con Dio perché ha trovato una soluzione o una soddisfazione, ma perché è stato liberato dalla gabbia retribuzionista che gli impediva d’accogliere la vita».
Il terzo è una riedizione rivista del testo del giurista della Cattolica di Milano Luciano Eusebi su La Chiesa e il problema della pena. Sulla risposta al negativo come sfida giuridica e teologica.
«Il libro di Eusebi è particolarmente prezioso perché permette di rileggere il magistero degli ultimi papi, cogliendovi lo sviluppo di un linguaggio e di un paradigma della giustizia che segna una netta discontinuità rispetto alla concezione retributiva: da uno scritto inedito del futuro Paolo VI, alle espressioni di Giovanni Paolo II sulla necessità di tradurre il perdono in “atteggiamenti sociali e istituti giuridici nei quali la giustizia assuma un volto più umano” (…) andando oltre l’istinto di rispondere al male col male, fino al magistero di papa Francesco a cui l’autore dedica un capitolo esclusivo proprio per la centralità che il tema della pena ha assunto nel suo insegnamento».
Scegli dal nostro scaffale
Se ti piace…
👉 … l’idea di sapere che c’è stato un teologo conciliare che ha avuto un ampio influsso nella Chiesa ambrosiana e non solo, leggi il profilo del «Gigante» di questo numero a firma del vescovo Franco Giulia Brambilla su don Luigi Serenthà, uno dei più stretti collaboratori del card. Martini a Milano.
👉 la riflessione teologico-filosofica di Pierangelo Sequeri, leggi il suo L’iniziazione. Dieci lezioni sul nascere e morire oggi (Vita e pensiero, 2023), qui presentato da Giacomo Coccolini: «Il fatto che la nascita e la morte non siano per noi esseri umani esperibili in modo diretto e cosciente – ma che da queste esperienze ne siamo inizialmente toccati soltanto attraverso il nascere e il morire d’altri – è il pensiero umanamente e teologicamente rivelativo da cui prende l’avvio il testo di Sequeri, che si manifesta denso di riflessioni e meditazioni teologiche».
👉 approfondire il legame tra la Chiesa cattolica con la sua radice ebraica, leggi la recensione di Guido Mocellin al classico – oggi rivisto – di Piero Stefani sul Padre nostro. Il breviario del Vangelo.
👉 saperne di più sulle vicende della Chiesa cattolica ucraina, leggi l’entusiastica rilettura a firma di Marcello Farina dell’indagine di Augustyn Babiak su Andrea Szeptyckyj (1865-1944), Per amore del suo popolo. Il testo presenta la figura del metropolita greco-cattolico di Leopoli, imprigionato in Russia per tre anni, considerato una delle figure episcopali più rilevanti nella storia del paese.
👉 seguire le Riletture di Mariapia Veladiano, leggi l’ultima su Cécile Coulon e il suo La casa delle parole.
