È iniziata a Lisbona la 37a Giornata mondiale della gioventù (GMG), la 13a in una sede internazionale. Vi partecipano ragazzi da tutto il mondo, e quest’anno ancor di più perché secondo gli organizzatori mancherebbero all’appello solo i giovani delle Maldive. Sui 354.000 ufficialmente registrati, spagnoli (che con 77.224 iscritti superano gli italiani, storicamente i più numerosi), italiani (54.469), portoghesi (43.742) e francesi (42.482) fanno la parte del leone quanto a numeri. E quindi, in buona sostanza, sono per circa i due terzi provenienti dall’«anziano continente», come l’ha chiamato papa Francesco, quello nel quale il declino dell’appartenenza religiosa pare più evidente.
Per questo e altri motivi, si tratta di un fenomeno che i media non possono ignorare.
Le domande principali riguardano il loro identikit: chi sono questi giovani? ha ancora senso proporre questi raduni oceanici della fede?
Gli occhi puntati su di loro
«Si può avere 20 anni nel 2023 e credere in Dio? – aggiunge Isabelle De Gaulmyn, caporedattrice, in un editoriale de La Croix del 31 luglio –. Quali sono le loro motivazioni? I cattolici più attempati, dal canto loro, scrutano come la pensano: sono più o meno aperti di loro? Amano la messa in latino o i canti con la chitarra? Sono più contemplativi o attivi nel sociale?».
Tutti con gli occhi puntati su di loro.
Anche da parte delle associazioni e dei movimenti: «Ecco una nuova generazione che porterà nuova linfa nel corpo, tanto malato, della Chiesa cattolica. Ecco dei difensori dei valori cristiani!».
D’altra parte anche ai vescovi, che solitamente partecipano in massa a questo genere di appuntamenti, dà sollievo vedere tanti giovani riuniti per le catechesi, la preghiera, le messe, l’incontro col papa.
Tutti quindi a dire che sì, la crisi c’è ma non troppo, e a tirar fuori la calcolatrice per le consolazioni.
La trappola dei numeri
Ma – come scrive De Gaulmyn – anche i numeri sono una «trappola». Tanto più ci affatichiamo a domandarci quanti sono, quanto più sono evidenti le nostre «ansie», quelle di noi adulti, che viviamo «in una società europea ampiamente scristianizzata», dove i cattolici sono visti come «un’arci-minoranza».
È anche la trappola di come noi adulti «tendiamo sempre a voler riflettere il nostro volto» al posto dei giovani.
«Smettiamo di caricare troppo peso sulle spalle di questi giovani. Di pensare per loro, pregare per loro. Di vederli come il barometro della salute del cattolicesimo, cosa che non sono. Dovremmo semplicemente rallegrarci del fatto che siano lì e che possano, a modo loro, vivere un’esperienza umana e, forse, spirituale. È la loro esperienza. E sono affari loro».
Non lo specchio della nostra fede.

Maria Elisabetta Gandolfi
Caporedattrice attualità per “Il Regno”
…non sono affari loro….siamo un unico Corpo di Cristo.
Sono anche affari nostri
“Non lo specchio della nostra fede”.
In parte è vero.
In parte no.
Per un genitore cristiano non basta aver collaborato con Dio a trasmettere la vita.
Il primo pensiero di un genitore cristiano deve essere trasmettere anche la fede.
Che è sì un dono di Dio, ma che si nutre di incontri, di condivisioni e di testimonianze di vita.
Per cui sapere che un proprio figlio è alla GMG o al campo parrocchiale o a fare volontariato o a pregare… non mi fa sentire inutile: qualcosa di buono, forse, l’ho fatto anch’io genitore…
E tutti questi giovani a Lisbona aiutano anche me, anche la mia fede, anche la mia speranza in un mondo migliore.
Marco Calandrino
È sempre vero che il male e come un albero che cade e fa rumore il bene e come un germoglio che nasce silenziosamente, Cristo,Lo Spirito Santo,La Vergine Maria al momento opportuno sempre nel Silenzio sveglieranno le nostre coscienze nella libertà